Taglio dei parlamentari e calo demografico: il Sud perde rappresentanti in Parlamento. Ecco perché

Taglio dei parlamentari e calo demografico: il Sud perde rappresentanti in Parlamento. Ecco perché
di Marco ESPOSITO
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Mercoledì 26 Agosto 2020, 08:35 - Ultimo aggiornamento: 12:17
Il referendum farà perdere peso al Sud? L'ipotesi gira con qualche allarme in rete, ma la risposta è no. O, se si vuole essere pignoli, è sì; ma in misura limitata a pochi decimi di punto. Eppure il Mezzogiorno vedrà ridursi ugualmente - e con certezza - la propria presenza nel prossimo Parlamento, per effetto del calo demografico già in corso e che sarà certificato ufficialmente nel 2021.

Se gli italiani approveranno la riforma, qualcosa nei rapporti di forza territoriali cambierà perché ci saranno alcune regioni solo sfiorate dai tagli (Valle d'Aosta, Molise e Trentino Alto Adige) e altre colpite più severamente (Basilicata, Umbria, Abruzzo) con il saldo che porta una lieve riduzione di rappresentanza per il Mezzogiorno, che scenderebbe dagli attuali 322 parlamentari su 945 (il 34,1%) a 203 su 600 (il 33,8%). Una riduzione di appena tre decimali, dovuta soprattutto all'impatto che la riforma avrebbe sulla rappresentanza senatoriale della Basilicata, come si dirà.

Ma il punto è che il Sud comunque - riforma o non riforma - ha perduto molti colpi rispetto alla situazione del 2011, cioè del censimento in base al quale si è votato nel 2013 e nel 2018. Tre le ragioni del calo demografico: la minore natalità (i neonati non votano, ma contano ai fini del riparto dei seggi), le migrazioni interne, la scarsa presenza degli stranieri. Anche i residenti di nazionalità estera, pur non avendo diritto di voto, valgono ai fini dell'assegnazione dei deputati e senatori a ciascun territorio e, visto che gli stranieri tendono a insediarsi nelle aree più ricche, ciò sposta molti parlamentari verso il Centro-Nord.

L'effetto demografia, anche se non siamo ancora nel 2021, è stimabile in base ai valori Istat più aggiornati, che arrivano al 31 gennaio 2020. Ebbene: le otto regioni meridionali sono destinate a perdere nel loro insieme ulteriori cinque tra deputati e senatori se passasse la riforma e ovviamente qualcuno in più (otto o nove a seconda degli arrotondamenti) se la riforma fosse bocciata nel voto del 20 e 21 settembre. Cinque parlamentari su 600 (oppure 8 sui 945 attuali) rappresentano in entrambi i casi quasi un punto percentuale per cui in Parlamento quota 34% è destinata a non essere più rispettata e si scenderà al 33%.

L'effetto combinato della riduzione del numero di deputati e senatori e del cambiamento del peso demografico fra i territori porta un taglio complessivo della rappresentanza parlamentare meridionale del 38,5%: due punti esatti sopra la media generale che è del 36,5%. Quest'ultima percentuale è la riduzione se a Montecitorio i deputati scendessero dai 630 attuali a 400 e se a Palazzo Madama i senatori elettivi fossero ridotti da 315 a 200.

Ma perché, se il taglio è lineare, l'effetto sui territori non è uguale in tutte le regioni? La spiegazione è nelle peculiarità del Senato. Nella versione della Carta in vigore, si prevede che «nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sette; il Molise ne ha due, la Valle d'Aosta uno». Quel numero sette è un bel favore per regioni poco popolose, come la Basilicata o l'Umbria, le quali insieme hanno meno abitanti della Sardegna, ma in due eleggono quattordici senatori contro otto dell'isola. Con il nuovo sistema, il minimo di sette senatori non è stato ridotto del 36,5% ma più che dimezzato e portato a tre per cui Basilicata e Umbria si fermeranno a sei senatori, pur sempre uno in più dei cinque della Sardegna.

L'anomalia della Basilicata, sovrarappresentata a Palazzo Madama, risulta particolarmente evidente dal fatto che la regione oggi elegge sette senatori sul 315 e solo 6 deputati su 630, perché a Montecitorio non c'è alcun minimo regionale e conta soltanto la quota di popolazione. Fatto sta che dalla attuale squadra di tredici parlamentari, la Basilicata scenderebbe a sette con una sforbiciata record del 46%.

Per una anomalia che si corregge, però, la riforma ne crea un'altra. Il Trentino Alto Adige infatti nella costituzione attuale è considerato una Regione per cui beneficia del minimo di sette senatori, con poco più di un milione di abitanti. Se vinceranno i sì, il minimo come detto scenderà da sette a tre ma il Trentino Alto Adige attingerà due volte alla quota tre, una volta come Provincia autonoma di Bolzano e l'altra come Provincia autonoma di Trento. Per cui alla fine il taglio sarà appena un solletico, da 7 a 6 senatori. In pratica la rappresentanza a Palazzo Madama del Trentino Alto Adige sarà la stessa della Calabria, ma con la metà degli abitanti.

A perdere quasi certamente seggi per il calo demografico saranno Abruzzo, Calabria e Puglia alla Camera e Puglia e Sicilia al Senato. Per la Puglia il calcolo dovrebbe essere il seguente: da 42 a 27 deputati per l'effetto della riforma, 26 con il ridimensionamento demografico; al Senato da 20 a 13, che diventano tuttavia 12. I cinque seggi persi dal Mezzogiorno finiranno tre al Lazio e due alla Lombardia, la quale succhierà anche un deputato dal Piemonte.
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