Rifiuti pericolosi fino alla Puglia: il giro d'affari milionario. Trio: Surbo parte civile

Rifiuti pericolosi fino alla Puglia: il giro d'affari milionario. Trio: Surbo parte civile
di Roberta GRASSI
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Martedì 18 Maggio 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 12:59

La Puglia, con particolare riferimento alla zona salentina e quella ionica, come la terra dei fuochi. Una discarica a cielo aperto, dove per lo più “scarti misti” di lavorazioni industriali, ma anche bitume e rifiuti pericolosi provenienti per lo più dalla Campania, finivano sotto terra. In aree di campagna a disposizione, secondo l’accusa sostenuta dalla Dda di Lecce, di un gruppo di trafficanti di rifiuti, business dei tempi moderni.
Stando a ciò che è emerso dall’inchiesta, coordinata dal pm Milto Stefano De Nozza e condotta da Noe dei carabinieri di Lecce e guardia di finanza di Taranto, satebbe stato il rallentamento delle esportazioni verso la Cina a favorire gli affari in territorio nazionale, a dirottare la speculazione verso il profondo Sud dell’Italia.

La ricostruzione

Perché la Cina? A quanto pare molte aziende si sono rivolte in passato al mercato straniero, all’estremo oriente, per disfarsi di carichi di rifiuti per ragioni di risparmio economico. Laggiù, non vi sono stringenti normative per lo smaltimento e il costo da sostenere, quindi, è solo quello del trasporto all’estero. Già nel 2019, quando era in pieno corso l’indagine, iniziavano ad esserci difficoltà con le esportazioni. È stato a quel punto che diversi stabilimenti, con sede per lo più in Campania, hanno dovuto rivolgersi a intermediari italiani. 
Il fenomeno del traffico e dello smaltimento dei rifiuti, infatti, ha rilevato il gip Alcide Maritati, è legato ai costi di gestione delle imprese.

Le stesse, al fine di lucrarne un notevole abbattimento “ricorrono sempre più frequentemente a soggetti talvolta legati al crimine organizzato” che si presentano con offerte di smaltimento a costi ridotti e assolutamente concorrenziali.


Ciò è possibile perché, viene specificato, propongono solo un “fittizio” servizio di smaltimento, “operando invece attraverso metodologie illecite e sottratte ad ogni controllo, in quanto abusive”.
Ma c’è una differenziazione da fare, per quel che concerne l’inchiesta più recente, quella che ha portato ieri all’esecuzione di 13 arresti. Ad una sola delle società “committenti” sono state mosse contestazioni, la Ndn Eurorecuperi con sede a Sparanise, in provincia di Caserta, per la quale era stata invocata dalla procura antimafia una misura interdittiva e il sequestro di mezzi e somme in denaro.
Per alcune altre, si ritiene invece che vi sia stata una partecipazione “colposa” al disegno, essendovi un obbligo preciso di controllare la destinazione dei rifiuti prodotti, a cui avrebbero dovuto prestare massima attenzione.
Tornando al funzionamento del complesso sistema, secondo la Dda e il gip sarebbe stato generato “un danno ambientale di proporzioni considerevoli” con lo smaltimento di quasi 600 tonnellate di rifiuti speciali anche pericolosi, e nello stesso tempo sarebbe stato creato un dislivello concorrenziale nel settore.


Il gruppo avrebbe fatto capo a Roberto Scarcia, di Taranto, e avrebbe operato nel territorio jonico- salentino. Rivolgendosi al mercato illegale, le società in questione avrebbero potuto ottenere vantaggi economici per circa il 90 per cento degli importi, considerato che lo smaltimento di circa 15 tonnellate di rifiuti pericolosi comporta per l’impresa un costo medio di 10mila euro. Camion interi, invece, raggiungevano la Puglia, anche con l’accordo di trasportatori autorizzati più o meno complici, per poche centinaia di euro. Anche 600 euro, per un solo viaggio. Il tutto veniva condotto nel Tarantino o a Surbo, in un capannone. E lì scaricato per poi essere sotterrato o “tombato” come si dice in gergo. Talvolta incenerito, con quel che ne consegue in termini di emissioni.

Certificazioni falsificate


Per dare garanzia di regolarità, a dire dell’accusa, venivano prodotte autocertificazioni false e “falsificate ad altre”. Quelle ambientali sono risultate “clonate” da altre rilasciate ad aziende che invece operano nel recinto della legalità. Ogni carico, infatti come è noto, deve essere accompagnato da una bolla che riporta i cosiddetti codici “Cer” che identificano i rifiuti. L’accettazione in discarica, o negli impianti autorizzati, prevede controlli complessi. Di cui, nel caso di specie, non ci sarebbe stata alcuna traccia. Destinazione finale? I terreni, le cave, i capannoni. Insomma, le belle campagne pugliesi.

Surbo e Mottola: Comini parte civile

Ronny Trio, sindaco di Surbo: «In un eventuale processo il Comune si costituirà parte civile a tutela del territorio e della comunità di Surbo». Lo stesso aveva fatto ieri il sindaco di Mottola, in provincia di Taranto.

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