Bucce d'uva o fondi di caffè: così i rifiuti diventano mattonelle o shopping bag

Bucce d'uva o fondi di caffè: così i rifiuti diventano mattonelle o shopping bag
di Giuseppe ANDRIANI
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Sabato 16 Aprile 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 17:59

L’idea è non buttare via nulla. Dalle bucce dei chicchi d’uva si può ricavare un pannello isolante per costruire un piano cottura o addirittura dei mattoni e dal bordo della pizza, che spesso rimane nel piatto, può venir fuori una shopping bag biodegradabile. L’idea, sviluppata in quattro progetti, viene dall’Unisalento e dal team di ricerca coordinato dalla professoressa Carola Corcione. Riciclare qualunque cosa, estrarne i filamenti e da lì, tramite una stampante 3D, in laboratorio, creare oggetti di uso comune. I progetti sono quattro, ma il fine non cambia. L’obiettivo, accademico fino a un certo punto, è quello di portare l’università e la ricerca in un sistema produttivo che può essere adottato dalle aziende del territorio e non soltanto. Un fine biosostenibile, ma anche economicamente produttivo. Il progetto Poirot ha brevettato, con diversi partner tra le aziende, un sistema per creare pannelli isolanti da diversi rifiuti, piuttosto comuni: bucce di frutta o verdura, ossi di pollo, lische di pesce. E i fondi di caffè, nel processo, servono da collante naturale. I rifiuti carboidratici, quindi gli avanzi di pizza, pasta e pane, oltre che le farine in eccesso, servono a produrre delle buste di plastica biocompostabili. Il tutto in un ciclo perfetto che prevede il ricircolo dei materiali. Buttare via qualcosa? Così diventa uno spreco.

Il team di ricerca

Il team, oltre alla professoressa Corcione, comprende i professori Alfonso Maffezzoli, Antonio Greco, Francesca Lionetto e dei ricercatori Francesco Montagna, Raffaella Striani, Daniela Fico, Francesca Ferrari, Valentina De Carolis e Mohammad Mahbubul Alam.

Dalla pietra leccese a un oggetto di design (Fotoservizio: Ivan Tortorella)


«I progetti - racconta Carola Corcione - sono tutti rivolti al recuperare scarti, di diversa natura, da quelli domestici a quelli industriali, al fine di dare loro una seconda vita.

Questo lo facciamo partendo dal nostro territorio, dal Salento, per poi arrivare al mondo esterno, con gli imprenditori e le aziende di questa provincia e in generale di questo Paese». Ancora esempi, applicazioni concrete in alcuni lidi di Otranto e Santa Cesarea Terme: la plastica delle bottigliette riciclata per oggetti riutilizzabili all’interno della stesso stabilimento. «La finalità era di recuperare la plastica spiaggiata nei mari del Salento e trasformarla in oggetti che potessero avere una seconda vita, tramite l’utilizzo di stampanti 3D. Noi siamo stati in dei complessi balneari, dimostrando proprio il processo. Il turista ci forniva il suo rifiuto in plastica e noi sul momento lo trasformavamo».

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Dal legno gli oggetti di design

Lo sguardo della ricerca per cambiare la vita di tanti. Anche gli scarti della produzione industriale del legno e persino quelli degli ulivi malati di xylella, possono diventare qualcosa: oggetti di design, portachiavi o soprammobili, per cui è stata persino organizzata una mostra da alcuni artigiani di Fasano. E lo stesso vale per il materiale di risulta dalla lavorazione della pietra leccese. Come? «Abbiamo utilizzato il processing di materiali polimerici - spiegano dal team di ricercatori, in uno dei laboratori con le stampanti 3D in produzione -. Noi abbiamo una visione ovviamente ingegneristica. Tutte le informazioni sulla trasformazione dei materiali sono sempre scalabili a livello industriale e hanno la finalità di creare una realtà utilizzabile nel futuro a vari livelli».
L’idea si inserisce in quel filone della terza missione tanto cara al sistema universitario italiano: le relazioni con le aziende, i prodotti scientifici che escono dalle aule per cambiare il modo di percepire la vita della gente comune. «L’idea è nata all’interno del nostro gruppo - raccontano -, tra docenti e ricercatori. Ci siamo confrontati e insieme abbiamo provato a rispondere a un’esigenza concreta che il territorio ci impone: non lasciar andare il rifiuto fine a se stesso. Noi accademici abbiamo un ruolo anche sociale, dobbiamo avere delle idee innovative per trasformare il rifiuto in una nuova applicazione d’uso. Le idee nascono dalla discussione con studenti e ricercatori».
Inutile buttar via qualcosa, tutto può avere una seconda possibilità di esistenza. E se i chicchi d’uva possono diventare un piano per la cucina, allora la ricerca può davvero cambiare il modo di intendere il rifiuto: «Vogliamo cambiare l’approccio rispetto all’utilizzo di alcuni materiali: io uso qualcosa sapendo che quando lo butto via, non è finita lì la sua vita, ma che posso farne altro». Tanto altro.

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