Rivolta sui bandi Prin per la ricerca: "scippati" al Sud 78 milioni. Modificati tre volte gli avvisi legati al Pnrr: non garantita la quota del 40 al Mezzogiorno

Il ministro Maria Cristina Messa
Il ministro Maria Cristina Messa
di Paola ANCORA
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Domenica 27 Febbraio 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 15:33

Finanziamenti tolti al Sud per essere destinati altrove, alle università del Nord Italia: ben 78 milioni di euro sono “scomparsi” dal piatto del Mezzogiorno nell’ambito dei fondi destinati ai Prin, acronimo di Progetti di ricerca di rilevante interesse nazionale, ovvero quelli che più incisivamente di altri potranno impattare sullo sviluppo del territorio. Si tratta di finanziamenti che, inizialmente previsti, sono scomparsi nel giro di pochi giorni durante i quali il bando confezionato dal ministero per l’Università e la Ricerca è cambiato tre volte. Stavolta, a insorgere, sono docenti e rettori degli Atenei meridionali, che rivendicano la necessità di quei finanziamenti per irrobustire la ricerca e seminare su territori bisognosi di innovazione e di lavoro ciò che serve per colmare i gap con il Settentrione. Protestano come già avevano fatto le Regioni del Sud, e poi i sindaci, quando lamentarono come dal riparto dei fondi del Pnrr mancassero 7 miliardi di euro, poco meno di un anno fa.

I FONDI
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza assegna ai Prin 1.800 milioni di euro, con l’obiettivo di finanziare 5.350 progetti entro il 2025. Il bando Prin 2022 mette sul piatto fondi già in cassa, ovvero il First (Fondo investimenti ricerca scientifica e tecnologica) per un totale di 741,8 milioni di euro.
Il primo bando – emanato con decreto dirigenziale numero 74 il 25 gennaio dal direttore generale del Mur Vincenzo Di Felice – prevedeva l’apertura dei termini l’1 febbraio, riservando ai progetti presentanti da under40 il 30% delle risorse, ovvero 222,5 milioni. Mancava però l’indicazione della quota del 40% di risorse destinate al Sud: il bando è stato quindi annullato e riscritto. Con il decreto dirigenziale numero 99 del 31 gennaio – apertura bando il 7 febbraio, scadenza domande sempre il 31 marzo – il Mur prevede due linee di intervento separate: quella “Principale” e la linea denominata “Sud”, alla quale vengono destinati 296,7 milioni di euro.

Ovvero esattamente il 40% dei 741,8 milioni di euro previsti. Resta anche la quota giovani, suddivisa sempre in “Principale” e “Sud”. 

IL DECRETO
Il 2 febbraio il nuovo decreto, il terzo, il numero 104: vengono cancellate le linee “Principale” e “Sud”, la graduatoria torna unica, resta la quota prevista per i giovani (222 milioni) e al Mezzogiorno vanno 218 milioni, cioè molto meno del 40% previsto dal Pnrr. Secondo il ministero, infatti, la quota non si applica a tutto il tesoretto di 741,8 milioni, ma solo ai 545 milioni finanziati direttamente dal Pnrr. Distinzione e cifra, quella dei 545 milioni, delle quali nel bando non c’è traccia. Il 40% di risorse destinate al Sud si riduce così al 29%, in barba non solo al Pnrr ma anche al criterio di suddivisione delle risorse in base alla popolazione residente in base al quale al Sud spetterebbe non meno del 34% delle somme complessive, dunque 67 milioni in più dei previsti 218.
In audizione alla Camera, la ministra Messa ha rivendicato la cancellazione delle due graduatorie, “Principale” e “Sud”, «perché trattandosi di bandi competitivi avrebbe trasmesso un messaggio negativo». E ha poi aggiunto che qualora a giochi fatti la quota del 40% spettante al Meridione non risultasse rispettata, si procederà a compensazione con i bandi successivi. Strada che non convince affatto studiosi come il professore di Economia all’Università di Bari, Gianfranco Viesti: “Si violerebbe l’obbligo di rispettare la quota Sud in ogni singolo bando” ha messo in guardia. E non a caso c’è chi paventa un ricorso degli Atenei meridionali contro il bando ministeriale. Il senatore del Pd Dario Stefàno, presidente della commissione Politiche europee a Palazzo Madama, ha già chiesto chiarimenti al governo: «Basterebbe anche solo un ricorso al Tar - ha messo in guardia - per rendere facilmente impugnabile il bando, allungando i tempi e bloccando l’assegnazione».

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