Motori diesel, parla il fisico che inventò la "marcia in più". Ricco: «Rivoluzionato l'universo delle automotive ma ora siamo in ritardo»

Motori diesel, parla il fisico che inventò la "marcia in più". Ricco: «Rivoluzionato l'universo delle automotive ma ora siamo in ritardo»
di Beppe STALLONE
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Lunedì 21 Febbraio 2022, 10:00 - Ultimo aggiornamento: 10:06

Parlare con Mario Ricco è come leggere un bel libro di storia. Un manuale denso, fatto di tante storie individuali, di particolari poco noti, di vicende che si intrecciano con i destini della grande politica, della grande industria, della ricerca. Ricco è un fisico barese che nel 2019 ha ricevuto anche una laurea ad honorem in ingegneria meccanica. Ma il suo nome è indissolubilmente legato all'invenzione del common rail, sistema di iniezione che ha rivoluzionato il mondo del motore diesel. Ricco conosce bene le vicende industriali pugliesi, il mondo dell'automotive che ora non sta attraversando un buon momento. Ha 81 anni, tanta esperienza, e conserva intatta una capacità di analisi del presente e di lucida lettura degli sviluppi futuri. Oltre a una simpatia contagiosa.


Dottor Ricco, si parla da tempo di transizione, della fine del motore endotermico, con tutto ciò che questo comporta anche in termini sociali. A che punto siamo?
«In fortissimo ritardo. È importante innanzitutto capire cosa non si deve fare. Se imbocchi la strada sbagliata ti sveni. Il punto è che oggi c'è grande incertezza su quale possa essere la strada giusta. Il mercato intero della mobilità, che in qualche modo era stato unificato col motore diesel e benzina, quel mercato è destinato a frazionarsi in tanti sottomercati ognuno dei quali dovrà fruire di soluzioni specifiche per quel tipo di sottomercato».
In pratica cosa avverrà?
«Se devo alimentare una nave che deve percorrere senza fare scali 7mila miglia e lo devo fare con delle batterie da mettere a bordo, alla fine non avrò neanche lo spazio per il carico da trasportare. Viceversa alla signora che accompagna i bambini a scuola è sufficiente uno scatolotto di batteria per percorrere pochi chilometri al giorno. Ci sarà una soluzione di mobilità per i vari sottomercati».
Insomma non si butta nulla dalla benzina, al diesel, all'elettrico?
«Dipende dal profilo di missione che si vuole far svolgere al veicolo».
Ma nel 2035 non c'è lo stop al motore endotermico?
«Per ora sono solo dei target. Ci sono pregiudiziali basate su cose tecnicamente infondate. Le macchine tutte elettriche dovrebbero essere severamente vietate, perché il modo attuale di produrre energia elettrica peggiora il bilancio in termini di produzione di gas effetto serra legata alla mobilità. Il CO2 non ha nazionalità per cui la buona volontà di nazioni virtuose di fatto viene neutralizzata da altre che per egoistica convenienza non intendono modificare lo status quo».
Allora come fare la transizione?
«Noi abbiamo fatto un errore strategico fondamentale, ci riempiamo la bocca sul fatto che siamo la seconda potenza manifatturiera in Europa. Il problema è che non abbiamo alcun controllo del prodotto oggetto della manifattura. L'elevata capacità manifatturiera significa anche un impiego elevato di energia che di questi tempi è penalizzante. L'attività preponderante negli stabilimenti a Modugno con vocazione automotive, è limitata alla manifattura. Mentre l'attività di sviluppo di nuovi componenti che è quella di maggior valore aggiunto, è allocata altrove. La ricchezza è creare il prodotto e controllarlo».
Non c'è futuro allora per Bari?
«Bosch ha già comunicato alcun anni fa che le prospettive per lo stabilimento di Modugno stavano diventando sempre meno sostenibili. Sono state aggiunte altre lavorazioni ma sempre di sola manifattura, senza aver il controllo dei componenti messi in produzione. A queste criticità si sono assommate condizioni al contorno ulteriormente sfavorevoli. L'attuale tendenza è di cambiare da parte del produttore di auto il proprio valore aggiunto dell'intera automobile. Infatti è cambiato il rapporto fra componentista e costruttore di auto. Sino ad alcuni anni fa il 70% lo faceva il componentista. Ora è stato sovvertito il rapporto e il costruttore di auto si appresta a sviluppare in casa il 70% e più. Il componentista a largo spettro deve affrontare una riduzione rilevante di volumi».
Come raddrizzare la baracca?
«Nel breve periodo bisogna fare ancora ricorso al canone di locazione, cioè chiamiamoli accordi di programma o in altro modo, in pratica la parte pubblica deve supportare la situazione in attesa di sviluppare strategie più virtuose consistenti in attività di innovazione nel territorio che possano bilanciare con il loro maggiore intrinseco valore aggiungo quello più basso della sola manifattura. Quindi soldi, spirito imprenditoriale e risorse umane».
Un po' ciò che è successo 30 anni fa con il suo common rail.
«Direi di sì. L'avventura è stata esemplare. Nessuna lampadina accesa o cose del genere. Il gruppo Fiat a quei tempi era il maggior costruttore e vendeva il maggior numero di auto per passeggeri con motore diesel, siamo nella prima metà degli anni '80. Il gasolio a quei tempi in Italia era maledettamente più conveniente della benzina. Quindi mamma Fiat cercava di incrementare il numero di vetture da produrre. Per come è costruito e funziona il motore diesel, gran parte della prestazione del motore sono legate all'impianto di iniezione del combustibile. Quando sollecitava il fornitore di impianti di iniezione a chiederne non 400 ma 600mila l'anno il costruttore prendeva tempo. Il monopolista era Bosch. Io all'epoca lavoravo in Altecna. La direzione di Torino ci chiese di cercare di creare pompe per vetture con motore diesel. Quindi un prodotto che nasce per strategia aziendale».
Passeranno molti anni però prima dell'entrata in produzione.
«Noi cominciammo a essere coinvolti nell'86-87. Avevo cominciato a pensare a un nuovo impianto di iniezione, avevo già pensato a qualcosa di governabile dallo scatolotto dell'elettronica. Mi stavo muovendo per un oggetto intrinsecamente elettronico. Poi ci sono state situazioni virtuose. All'epoca avemmo supporti finanziari rilevanti, e c'erano le persone giuste. Nel '90 si chiarì che potevamo continuare a lavorare. Disegnammo qualcosa che si potesse produrre e verificammo che funzionava non solo per pochi secondo al giorno. Nel '92 avevamo 5 Croma equipaggiate e avevamo fatto mini prove di durata. Nel '92 al centro ricerca Fiat dicemmo che eravamo pronti. Ma non si muoveva nulla. Cominciai a contattare Mercedes che era il riferimento del motore diesel sia per camion che per autovetture. Mossa vincente. Nel settembre del 93 mi mandarono un motore 5 cilindri, a fine ottobre il motore funzionava con il common rail. La Mercedes non ci credeva ma dopo 4 giorni si presentarono a Modugno e presero atto che il motore funzionava. Se ne tornarono in Germania e espressero valutazioni positive. Allora ci mandarono una Mercedes serie E. A metà gennaio la vettura girava con il common rail. L'8 febbraio 94 vennero a prendere la vettura e ci invitarono in Germania. Facemmo un giro di 3 ore. La macchina, sottoposta a uno stress test, andò benissimo. Il responsabile innovazione della Daimler era quasi indispettito. A quel punto imposero a Bosch di prendere questo common rail. Se mi fossi interfacciato con Bosch avrebbero pure comprato il prodotto ma lo avrebbero sepolto. La proprietà intellettuale era stata comprato da Bosch. Mi sono dovuto far carico della parte della industrializzazione».
Esempio concreto di ciò che vuol dire innovazione.
«Oggi si parla di industria 4.0 e tutti si riempiono la bocca. Noi l'abbiamo anticipata di 30 anni. L'avventura non è stata solo nell'invenzione. Momento giusto, condizioni giuste, persone giuste».
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