La fuga dei giovani dal Sud e il crollo del Pil: il report di Confcommercio sugli ultimi 25 anni nel Mezzogiorno

La fuga dei giovani dal Sud e crolla il Pil: il report di Confcommercio sugli ultimi 25 anni nel Mezzogiorno
La fuga dei giovani dal Sud e crolla il Pil: il report di Confcommercio sugli ultimi 25 anni nel Mezzogiorno
di Alessio PIGNATELLI
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Venerdì 3 Settembre 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 19:17

La fuga dei giovani dal Mezzogiorno - un esercito di oltre un milione e mezzo di ragazzi perso nell’arco di venticinque anni - il calo costante della quota Pil sul totale italiano e una crescita al palo che nemmeno il tanto decantato turismo riesce a smuovere. È l’immagine impietosa che l’Ufficio Studi Confcommercio dipinge in un’analisi su economia e occupazione al Sud dal 1995 a oggi. Divari territoriali nelle performance economiche e nella qualità della vita che non costituirebbero di per sé un problema centrale di politica economica se fossero meramente accidentali e transitori e, soprattutto, se non conseguissero a una cattiva allocazione delle risorse. Con quest’ultimo concetto, Confcommercio intende stigmatizzare il sottoutilizzo delle ingenti risorse produttive, culturali, turistiche e imprenditoriali residenti nel Mezzogiorno.

Lo studio

Il tema della produttività al Sud, quello delle condizioni economiche e sociali di vita e quello della scelta di risiedere anziché emigrare, sono strettamente collegati. La dimensione quantitativa del problema della perdita di popolazione al Sud, soprattutto giovane, sottende quello dell’occupazione. Questi concetti espressi nel report di Confcommercio sono accompagnati da alcuni dati. Per esempio: dal 1995 l’Italia nel complesso «perde 1,4 milioni di giovani» - da poco più di 11 milioni a poco meno di 10 milioni - ma tutta «questa perdita è dovuta ai giovani meridionali».

Infatti mentre nelle altre ripartizioni il livello assoluto e anche la quota di giovani rispetto alla popolazione di qualsiasi età «restano più o meno costanti», nel Mezzogiorno si registra «un crollo»: rispetto al 1995, manca nel Sud «oltre 1,6 milioni di giovani». Non solo. Tra il 1995 e il 2020 il peso percentuale della ricchezza prodotta dal Mezzogiorno sul totale Italia «si è ridotto», passando da poco più del 24% al 22%. Le ragioni sono molteplici ma le principali sono due: la decrescente produttività totale dei fattori, conseguenza dei gap di contesto che affliggono le economie delle regioni meridionali in particolare, e la riduzione degli occupati, conseguenza della riduzione della popolazione residente.

Il Pil pro capite è sempre rimasto «intorno alla metà» di quello del Nord e nel 2020 è risultato pari a 18.200 euro contro 34.300 euro nel Nord-Ovest e 32.900 euro nel Nord-Est. Nello stesso periodo il Sud ha registrato una crescita dell’occupazione quattro volte inferiore alla media nazionale (4,1% contro il 16,4%).

«Rilancio dell’economia, grazie ai vaccini, e piano nazionale di ripresa sono un’opportunità irripetibile per il nostro Mezzogiorno - ha auspicato il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli - In particolare, le risorse del Pnrr destinate al Sud, circa 82 miliardi, permettono di sviluppare e innovare le infrastrutture di quest’area.

E migliori infrastrutture significano anche migliore offerta turistica che è la straordinaria risorsa del meridione».

Un turismo che deve essere fonte di ricchezza ma che, in questi anni, non si è dimostrato tale secondo Confcommercio. Nell’analisi si rileva che nel 2019, un anno “normale”, alcune regioni meridionali non hanno partecipato al processo di costruzione di ricchezza attraverso il turismo. Nel 2020 la crisi generata dal Covid-19 non ha fatto altro che aggravare questa situazione.

«È importante - conclude l’analisi di Confcommercio - che le scelte di politica economica siano coerenti con il senso dell’analisi della situazione cui si presta fede. La valorizzazione del turismo, soprattutto nel Mezzogiorno del Paese, dovrebbe diventare una priorità operativa per tutti i soggetti interessati, sia privati sia pubblici. L’eventuale successo dell’azione di rilancio sistemico di questo fondamentale settore produttivo, contributore netto al saldo della bilancia dei pagamenti, si rifletterebbe anche in una maggiore produttività dei servizi di mercato e, al loro interno, della produttività delle imprese di più ridotta dimensione».

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