L'analisi/Puglia, la corsa a otto per la presidenza della Regione. Consiglio, 1.300 candidati. Ed è un voto chiave anche per il governo

L'analisi/Puglia, la corsa a otto per la presidenza della Regione. Consiglio, 1.300 candidati. Ed è un voto chiave anche per il governo
di Francesco G.GIOFFREDI
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Domenica 23 Agosto 2020, 10:12 - Ultimo aggiornamento: 16:08
La terra delle promesse politiche e dei laboratori, la Regione termometro e ago della bilancia affronta un tornante elettorale cruciale e da vertigine. Anche per il Paese, non solo per la Puglia. Ieri sono state ufficialmente presentate le candidature alle regionali: otto in corsa per la carica di governatore, 29 liste, circa 1.300 aspiranti consiglieri (in palio 50 scranni), e anche la grandinata di numeri racconta molte cose, debolezze strutturali, falle sistemiche, stagioni politiche che cambiano o si riassestano a ritmi vertiginosi.

Scenario fluido si sentenzia in questi casi, e normalmente vuol dire un po' tutto e il suo contrario. Ma davvero: il voto del 20-21 settembre sarà comunque uno spartiacque per la politica pugliese e una micidiale roulette per il governo nazionale giallorosso. La Puglia - qui ribattezzata in tempi non sospetti "l'Ohio d'Italia", un cosiddetto "swing State" all'americana dall'esito tanto incerto quanto decisivo - è forse il terreno di caccia privilegiato di questa battuta elettorale, è la regione che più di tutte orienterà il giudizio e i destini del governo Conte. Con un paradosso: l'alleanza romana si frammenta in tre candidati.

Non a caso, fino all’ultimo minuto sono andati in scena tentativi - a tratti goffi, di certo orientati più alla formula che al progetto - di suturare un’alleanza quantomeno tra Pd e M5s per salvare il governo Conte e per fermare l’avanzata (a Roma e in Puglia) del "centrodestra sovranista": ci ha provato il premier, s’è prodigato il Pd, ha insistito pure Michele Emiliano. Ma niente da fare: muro dei pentastellati, soprattutto pugliesi e in prima battuta della candidata Antonella Laricchia. Non è stato mai nemmeno apparecchiato, invece, il tavolo della trattativa e della riconciliazione con Italia viva, Azione e +Europa (che schierano il sottosegretario renziano Ivan Scalfarotto). Si vota anche in Veneto, Liguria, Toscana, Campania, Marche e Val d’Aosta, che fa sempre storia a sé: perché è proprio la Puglia lo “swing State” all’italiana? Veneto, Liguria, Toscana e Campania sembrano indirizzate metà al centrodestra e metà al centrosinistra, nelleMarche la partita è aperta ma il bottino non è di primissima fascia, non resta allora che la Puglia come principale metro del voto di settembre. Non a caso, il centrodestra che vuol dare la spallata al governo Conte proprio in Puglia punta - tra non poche telenovele e veleni interni, all’apparenza smaltiti - su un dirigente nazionale come Raffaele Fitto (in quota FdI).

Quella sul futuro del governo giallorosso non è l’unica partita thriller: nelle urne si intrecciano la pagella al governo Emiliano, le mutazioni genetiche del centrosinistra pugliese, il cammino dei cinque stelle, il difficile percorso di radicamento dei renziani post-Pd e infine il consolidamento del centrodestra, tra scenari nazionali, spesso fragili alchimie interne e rapporti di forza lungo l’asse Meloni-Salvini. Completano la pattuglia dei candidati: il consigliere regionale exM5s,Mario Conca; Piefranco Bruni, Fiamma Tricolore sponsorizzato da Adriana Poli Bortone; Nicola Cesaria, Rifondazione comunista e altri movimenti; Andrea D’Agosto, Riconquistare l’Italia (sovranisti).

I cinque anni di governo e il centrosinistra. D’accordo la Puglia termometro nazionale, ma le regionali sono innanzitutto un esame per chi ha governato e si propone per il bis. Emiliano ha inseguito la ricandidatura con ostinazione, passando da primarie a tratti divisive, una corsa a perdifiato provando a sminare il campo. Le critiche non sono fioccate solo da chi è andato via (i renziani), ma anche da un’ala tuttora critica del centrosinistra. Nel confronto interno pesano come macigni i dossier bollenti: agricoltura, risorse europee, grandiopere, sanità. Quale sarà il giudizio dei pugliesi? Intanto il governatore punta sulla coalizione-arcipelago, ben 15 liste tra Pd, civiche sotto la sua diretta influenza (e che proveranno a sopravanzare i dem: Emiliano vuol imporre la propria legge), amministratori, pezzi di sinistra, piccoli cespugli. E poi ci sono il programma partecipato dal basso, il segno della continuità, la volontà di compattarsi per rintuzzare l’assedio del «centrodestra di Salvini e Meloni». Che si vinca o si perda, sarà comunque un centrosinistra con un nuovo dna: più marcatamente emilianiano, nel primo caso; con mappe da riscrivere e forse altre, future leadership incaso di sconfitta.

La traversata dei cinque stelle. Nel 2015 raccolsero il 18%, alle politiche rasentarono il 50%, poi la flessione alle Europee. Nel frattempo per il M5s sono successe molte cose: due governi nazionali con alleati di segno opposto, una sorta di “normalizzazione” politica, i cinque anni di strenua opposizione a Emiliano, che hanno indotto a ripudiare alla radice il sostegno al governatore uscente, difendendo viceversa la candidatura bis di Laricchia (correrà con due liste, anche una civica). I pentastellati pugliesi sono ora a metà del guado: c’è la ragion di stato (la tutela del governo nazionale) che preme, ma c’è anche la “diversità pugliese” da tutelare. La percentuale raccolta, in tal senso, sarà un lancio da testa-croce: potrebbe alimentare i rimpianti di chi sognava l’alleanza col Pd, oppure rafforzare l’autonomia del M5s pugliese, o infine aprire il confronto interno.

La battaglia dei liberaldemocratici. La Puglia è stata la prima regione in cui Matteo Renzi e soci hanno deciso di strappare col Pd alle regionali. Una specie di incubatore, e non poteva essere altrimenti: c’è il «populista Emiliano» (etichetta col quale lo bocciano senza appello) ed è la terra di Teresa Bellanova, la ministra a capo della delegazione di governo renziana. L’obiettivo è dar fastidio al governatore, ma soprattutto ramificare la proposta politica. Snidando le contraddizioni altrui.

Il centrodestra a carte scoperte. Raffaele Fitto, dopo qualche anno di apnea, torna lancia in resta e con rinnovate ambizioni: sponsorizzato da FdI, ha schivato i colpi bassi leghisti e lavorato a testa bassa sulle liste. Solo cinque (FdI, Lega, FI, Udc-Nuovo Psi, La Puglia domani) strategia opposta rispetto a quella di Emiliano: compattezza, senza slabbrature, consentendo a tutte le sigle di raccogliere il fatidico 4%. Basterà? Verdetto alle urne. Fitto ha più partite in ballo: naturalmente l’elezione, poi la battaglia interna con la Lega provando a imporre il proprio tratto (di radice più moderata) e la leadership, infine l’obiettivo di espugnare una regione da 15 anni fortinodel centrosinistra, in una sorta di vendetta circolare (nel 2005 perse contro Vendola dopo cinque anni di governo). Si torna sempre lì: per ilc entrodestra nazionale la Puglia sarebbe una bandierina strategica, forse decisiva. Anche nel braccio di ferro Meloni-Salvini.

Un voto sui generis. Alcune note amargine sul contesto (anomalo). Il voto post estivo è un’incognita, il Covid complica ulteriormente il quadro: l’impatto sull’affluenza s’avvertirà in negativo, resta da capire chi ne gioverà. E ancora: la vera campagna elettorale comincia domani, dopomesi di tribolazioni, di trattative, di lavorìo sottotraccia, di colpi di fioretto. Programmi e contenuti dovranno imporsi adesso: fin qui s’è vista solo qualche sbiadita traccia. Sarà una specie di battaglia finale, perché le liste sono un “tutti dentro”: uscenti, grandi ritorni, ex parlamentari, amministratori locali, medici, epidemiologi, il mondo dell’agricoltura e delle imprese. Con immancabili salti da uno schieramento all’altro. C’è l’incognita del voto disgiunto, e sarà la prima volta della doppia preferenza di genere imposta dal governo alla Regione inadempiente. Di sicuro, tra un mese molto sarà cambiato. Comunque vada.

(Liste e nomi dei candidati sono disponibili sull'edizione cartacea di Nuovo Quotidiano di Puglia, oggi in edicola)
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