Licenziamenti da bloccare, personale da non sfruttare. La battaglia sindacale sul lavoro è aperta sul fronte nazionale e in Puglia. E il monito lo lancia il segretario generale della Cgil Puglia, Pino Gesmundo, commentando e ricordando alcuni numeri del rapporto annuale sull’economia della regione diffuso dalla Banca d’Italia: «Siamo nel paese in cui si criticano le misure pubbliche di sostegno ai lavoratori e alle famiglie, i più colpiti dalla crisi economica dovuta alla pandemia, e si intende porre fine al blocco dei licenziamenti. Nonostante le retribuzioni, per rimanere alla Puglia, siano diminuite del 7,6 per cento nel 2020, risentendo della flessione delle ore lavorate, e i redditi delle famiglie hanno interrotto una fase espansiva che durava dal 2014, diminuendo dell’1,4 per cento, con una dinamica mitigata proprio dagli strumenti di sostegno al reddito che sarebbero la causa per cui in questo paese si afferma, senza alcun dato scientifico, non si trovano lavoratori. Da sfruttare, aggiungiamo noi».
«I giovani sono le vittime di un mercato precario»
La pandemia è stato un cigno nero che era impossibile ipotizzare. Su diversi fronti, quello economico e sanitario in primis. Soffermandosi su occupazione e lavoro, si è innescato da settimane un duro confronto che ha visto protagonisti governo, Confindustria e sindacati.
Nel report della Banca d’Italia, c’è poi un altro elemento che il sindacato evidenzia. «Non certo nuovo ma che rimarca l’attenzione che merita la Puglia sul versante degli interventi per favorire la transizione energetica, a sostegno di produzioni sostenibili sul piano ambientale e della salute dei lavoratori e delle città. Parliamo della cosiddetta impronta carbonica: nel 2019 l’industria pugliese incideva per il 15 per cento sulle emissioni nazionali di anidride carbonica e circa due terzi riconducibili agli impianti Ilva di Taranto e alla centrale termoelettrica di Brindisi. Dal Pnrr devono arrivare investimenti importanti per una riconversione che non scarichi sul lavoro e il territorio gli effetti». In questo quadro, Cgil Cisl e Uil stanno chiedendo al governo la proroga del blocco dei licenziamenti almeno fino a fine ottobre e nuove politiche per il lavoro «che deve essere elemento centrale delle misure del Piano nazionale di ripresa e resilienza, con un legame diretto tra investimenti e occupazione». Sabato 26 giugno ci saranno manifestazioni a Torino, Firenze e Bari.
Orlando: «Non avremo l’ecatombe ma contraccolpi sì che vanno gestiti»
La questione è nota: dopo 15 mesi, il blocco dei licenziamenti scadrà il 30 giugno per grande industria ed edilizia. Almeno, a questo risultato aveva portato la mediazione del premier Draghi dopo il pressing di Confindustria. Ma le organizzazioni sindacali non ci stanno e vogliono una proroga del divieto di licenziamenti che riguardi tutti i settori fino al 31 ottobre accompagnata dalla riforma degli ammortizzatori sociali e dalle politiche attive per il lavoro. E il governo? Come si muoveranno le diverse anime dell’esecutivo? Il nodo sarà appunto trovare una quadra e ieri il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, sembra aver tracciato lo scenario in occasione di un convegno proprio della Cgil sul lavoro in agricoltura: «Dobbiamo essere realisti. Non trovo che maturi un blocco generalizzato dei licenziamenti, ma ad una selettività. Tutto quello che aiuta a rendere graduale lo sblocco dei licenziamenti è un passo avanti. Non avremo l’ecatombe, come hanno già detto i sindacati, ma contraccolpi sì che vanno gestiti. Abbiamo alcuni strumenti che dobbiamo mettere in campo e spingere verso la riforma degli ammortizzatori sociali per consentire di non avere una concentrazione di criticità nella fase in cui si riavvia l’economia. Non vedo più interventi generalizzati, di difficile realizzazione».
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