La Puglia che non legge, Laterza: «Classe dirigente miope, serve una svolta»

La Puglia che non legge, Laterza: «Classe dirigente miope, serve una svolta»
di Paola ANCORA
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Domenica 24 Aprile 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 18:10

Giuseppe Laterza, presidente dell’omonima casa editrice, il tasso di lettura in Puglia è bassissimo: tre su quattro non leggono né libri né giornali. Cosa ne pensa?
«Dal 2002 ci misuriamo con questo dato cercando di mettere in rete le tante esperienze di promozione della lettura, in particolare con l’iniziativa dei “Presidi del libro”, che riunisce 60 gruppi di lettura in tutta Italia, Puglia compresa. Sono gruppi che si organizzano intorno a una scuola, una biblioteca, una libreria e condividono la passione per la lettura, scelgono un tema, lo approfondiscono, invitano gli autori. Ma la passione per la lettura si coltiva a scuola e qui ci si scontra con un’enorme debolezza del nostro sistema: l’assenza di biblioteche scolastiche. Con grande fatica abbiamo ottenuto dal ministro Bianchi lo stanziamento di fondi – un milione di euro - dedicati proprio a questa missione, per la formazione di insegnanti capaci di trasferire l’amore per la lettura ai ragazzi, una capacità che esula dalle abilità generalmente acquisite dai docenti nei loro percorsi. Altrove, nel Nord Europa, ma anche nelle regioni settentrionali d’Italia, le biblioteche scolastiche ci sono. Nel Mezzogiorno le si trova soltanto quando si fa avanti, volontario, un insegnante o un dirigente, ma non sono più che un mucchio di libri affastellati».


Cos’altro ci manca per recuperare il divario con il Nord?
«Una classe dirigente sensibile al tema.

La nostra è profondamente ignorante. Non va alle mostre, non ascolta musica, campa alla giornata. Ragiona sulle prossime 24 ore, perché non ha uno sguardo lungo, non ha visione. Leggere serve a questo: ad ampliare lo spazio visuale, a capire come le scelte compiute o da fare si riverberano nel contesto in cui ci si trova. I nostri politici e i nostri imprenditori, con le dovute eccezioni, rispecchiano una società contadina, nella quale ci si sveglia la mattina e si guarda il cielo per capire se pioverà oppure no. Ma la società industriale e dei servizi nella quale viviamo non si può regolare così: servono sguardo lungo e cultura». 


A questo proposito, la Puglia è anche la peggiore per tasso di istruzione: appena il 50% dei cittadini ha un diploma di scuola superiore. Come se lo spiega? E come si inverte questo trend?
«Ci sono una serie di motivi storici alla base di questi dati. Ma oggi il problema principale è che investire nella scuola, come investire nella ricerca, non porta voti perché i risultati di quell’investimento non si vedono subito. Ci vuole qualche anno perché si manifestino. Per questo abbiamo un Paese in perenne stato di emergenza. Nella storia, tuttavia, le cose cambiano: può cambiare anche la classe dirigente pugliese. E non va dimenticato che la politica è lo specchio della società civile: nessuno può chiamarsi fuori alla responsabilità di invertire la rotta. Nemmeno io: con questi dati mi sento sconfitto perché è inutile fare bellissimi libri se questi non servono a persuadere le persone a fare scelte coraggiose e lungimiranti».


La forte spinta verso gli istituti tecnici, verso la professionalizzazione del sapere può aver innescato il cortocircuito lasciando passare il messaggio che studiare non serva poi a molto?
«Il grande linguista Tullio De Mauro sosteneva che non si può fare una buona riforma della scuola se non si ha una visione del futuro. Questo per dire che anche gli istituti tecnici vanno benissimo, purché vi sia una visione d’insieme che oggi non c’è. E che solo la cultura, il sapere possono aiutare a costruire».


Secondo il report “Benessere” dell’Istat la Puglia è la reigone più infelice d’Italia. Lo pensa anche lei?
«Non ho questa percezione. Mi pare che i pugliesi combattano, fatichino e si pongano obiettivi che spesso riescono a raggiungere. La Puglia è una regione dinamica, non rassegnata. La rassegnazione è la porta per la vera infelicità».

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