Risorse Ue, imprese, formazione, sanità, ambiente: sfide e svolte, il 2021 della Puglia

Risorse Ue, imprese, formazione, sanità, ambiente: sfide e svolte, il 2021 della Puglia
di Francesco G. GIOFFREDI
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Sabato 2 Gennaio 2021, 07:50 - Ultimo aggiornamento: 11:13

Il sistema Paese come «una ruota quadrata che non gira», e che in tempi di pandemia, e al Sud, avanza con maggiore fatica, persino più spigolosa: è l'ultima fotografia del Censis. E poi l'alfabeto di Sergio Mattarella, distillato nella notte più emblematica: responsabilità, serietà, collaborazione, sfide, rinascita.


Due angolature, la stessa prospettiva. Due chiavi, senza cambiare lettura. Il 2020 è l'anno da cestinare in fretta, non senza averne colto le dolorose lezioni, i messaggi, le contraddizioni laceranti da suturare quanto prima, la capacità di accentuare «limiti e ritardi del nostro Paese» (ancora il capo dello Stato). E il 2021 dev'essere, giocoforza, l'occasione per riparare gli errori, vecchi e nuovi, strutturali e contingenti, e per gettare le fondamenta del rilancio. Un rinascimento, concetto che certo stride e ha l'impatto di un pugno in pancia mentre la pandemia continua a macinare numeri impietosi. La Puglia è come non mai in questo tornante della storia: l'epidemia in tre fasi (il lockdown salva-vite, l'estate del sollievo e dell'irresponsabilità, l'autunno della recrudescenza, della paura e della disorganizzazione) è stata una specie di bignami e di amplificatore di debolezze ben radicate. Ora è necessario cambiare marcia: le sfide non mancano. Ne abbiamo messe in fila otto, tra nuove opportunità e storici deficit strutturali.


Il Recovery, tra molte incognite. La bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza del governo è ferma nel pantano: un mezzo caos su progetti, criteri di ripartizione delle risorse (i 209 miliardi del Next generation Eu), governance e cabina di regia, interlocuzione con le Regioni. Che, in ogni caso, avranno un ruolo nel copione. La Puglia e le altre Regioni del Sud potrebbero limitarsi a beneficiare dello "sgocciolamento" di progetti e risorse gestiti centralmente, o essere promotrici di idee e proposte, oppure addirittura centri di spesa. Resta un rebus, tra i tanti: al Mezzogiorno che fetta spetterà dei 209 miliardi? È uno dei fronti di battaglia politica, il criterio del 34% potrebbe non bastare. In ogni caso, la Puglia deve essere protagonista: la Regione ha già presentato schede progettuali per ben 23 miliardi, tra progetti e gestione esclusiva o "trasversale". Necessario evitare però le solite trappole: polverizzazione della spesa (sarà, anche, l'anno del nuovo ciclo di programmazione dei fondi europei da oltre 7 miliardi), assenza di visione di lungo periodo, fuga da un'alleanza strategica con le altre Regioni meridionali. Senza liti-spot con Roma, né supina condiscendenza al governo. Se non è l'ultimo treno per agganciare le locomotive europee, poco ci manca.


La sanità da riformare. Tasto dolente. Da sempre e ora più che mai. La pandemia ha messo a nudo le crepe del sistema: poco personale, pochi posti letto, strumentazione spesso insufficiente. Tanto che al minimo accenno di impennate violente dei contagi, il sistema è andato in tilt nel tracciamento, nel testing con tamponi, nella reattività diagnostica e nei ricoveri. Tre linee guida, allora: la (ri)costruzione della rete ospedaliera, il rafforzamento della medicina del territorio (quasi del tutto assente, e s'è visto con le Usca) e la capacità di risposta preventiva innanzitutto per ciò che non è Covid, visto che le infinite liste d'attesa in questi mesi di blocco si sono allungate ancora di più.


Le imprese e la produzione di ricchezza. Il rapporto Svimez ci dice che la Puglia nel 2020 ha lasciato per strada il 10,8% del Pil (più della media italiana e meridionale) e che quest'anno crescerà dell'1,7% (meno della media nazionale, ma lo 0,5% in più del resto del Sud). E lo stop al blocco dei licenziamenti da marzo rischia, in Puglia, di far cadere la mannaia su 13-16mila posti di lavoro (dato della Task force regionale), soprattutto in settori sferzati dalla pandemia. La produzione di ricchezza diffusa e di occupazione è questione di asfissiante attualità. Le risorse poco sopra citate possono essere un utile bazooka, possibilmente evitando di ingrassare la cosiddetta "economia dei sussidi". Il 2021, allora, dev'essere in Puglia l'anno della svolta: la pandemia ha insegnato che le monoculture economiche sono un mezzo suicidio; agroalimentare, bioeconomia circolare e Zes sono tre leve strategiche individuate sempre da Svimez; e gli strumenti potenziali per mettere le ali allo sviluppo economico ci sono o ci potrebbero essere.

Esempi: le citate Zes da promuovere su scala internazionale, una riforma robusta dei consorzi Asi, il rafforzamento delle filiere e dei Distretti produttivi sul modello Aerospazio, il legame indissolubile tra mondo delle imprese e della formazione (per esempio con gli Its e le Università), le necessarie infrastrutture a servizio dell'economia. Tornando a fare politica di sviluppo, apparsa appannata negli ultimi anni.


La green economy, oltre Ilva. Ue, Recovery plan e principali centri studi individuano nella svolta green una leva di sviluppo ormai non più rinviabile. Un recente rapporto di McKinsey stima che il processo di decarbonizzazione produrrà un milione di nuovi posti di lavoro in Italia entro il 2050. La Puglia è a questo tavolo, tra Brindisi (Enel), Taranto (Ilva) e Salento (il gas di Tap opportunità di diversificazione). A un patto: senza facili promesse e demagogie. E monitorando con cura le questioni più calde: per Ilva sarà un anno cruciale, è delle scorse settimane l'ingresso in società (con Mittal) dello Stato, ma piano industriale e ambientale sono avvolti ancora nelle nebbie. Urge chiarezza, su più punti: la compattezza istituzionale sull'acciaio di Stato, il ciclo di produzione misto, il futuro a idrogeno, la concorrenzialità dello stabilimento. Green economy è anche il ciclo dei rifiuti: la Regione ora deve varare definitivamente il piano e realizzare gli impianti.


Crisi demografica e divario di competenze. Un sos di lungo periodo, sì. Ma non per questo sottovalutabile: la Puglia rischia di spopolarsi, solo nel 2018 sono andati via verso Nord o estero oltre 21mila pugliesi. Ma c'è dell'altro: chi resta è spesso costretto a rincorrere, perché la spesa pubblica centrale pro capite è asimmetrica (in Puglia sensibilmente inferiore rispetto a Italia e Centro-Nord: 11.306 a fronte di quasi 13mila, fonte Bankitalia) e perché il divario di competenze è spesso drammatico. Soprattutto nel digitale: secondo l'indice elaborato dall'Osservatorio Agenda digitale, la Puglia è a 27,7 punti, la Lombardia a 49,7. Sarà fondamentale, soprattutto dopo lo schiaffo della pandemia, insistere sul rafforzamento delle competenze e del digitale.


La chance del south working. Tra le parole del vecchio anno destinate a restare c'è smart working. Che può diventare una miniera per il Mezzogiorno, calamita per attirare capitale umano di ritorno. È già successo: in 45mila dipendenti di aziende del Nord hanno lavorato nei mesi scorsi dal Sud. È il south working, che può frenare la crisi demografica, accorciare il gap di competenze e generare idee e ricchezza. La Puglia deve darsi perciò una mossa: infrastrutturando la regione con la banda ultralarga (la velocità di rete è cresciuta nell'ultimo anno solo del 15%, a fronte del 25% nazionale), o persino promuovendo iniziative per "venire a lavorare in Puglia" (e non solo a ballare).


L'agricoltura che cambia volto. Il flagello xylella ha ridisegnato il profilo produttivo e paesaggistico di mezza Puglia agricola. La lotta al batterio sposta la frontiera più a nord, verso il Barese e oltre. Per l'area meridionale è tempo di reinventarsi: il 2021 dovrà segnare lo sprint sui reimpianti delle specie resistenti e sul piano regionale per la rigenerazione del paesaggio, con l'innesto di risorse fresche nazionali ed europee. Da non sperperare per inerzia, come accaduto col Psr.


Il "mestiere" della politica. L'ultima sfida attraversa le precedenti sette: la politica pugliese, a cominciare dagli inquilini della Regione, torni a fare il proprio mestiere. E cioè: niente più rincorsa dei populismi, niente malattia del consenso "facile" o promesse ondivaghe e a buon mercato. È il tempo della responsabilità, dell'esame di maturità e del mea culpa sugli errori. Nel giorno della rielezione, Michele Emiliano li ha in parte riconosciuti. Dopo lo stato di guerra pandemica, è l'ora dei fatti.

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