Puglia, la crisi dei chip fa paura: ritardi a cascata sulle imprese

Puglia, la crisi dei chip fa paura: ritardi a cascata sulle imprese
di Pierpaolo SPADA
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Venerdì 22 Ottobre 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 23 Ottobre, 07:42

«Non ci sono alternative all’intervento dello Stato per contenere i costi derivanti dalla transizione energetica e digitale necessaria per ridurre la dipendenza dell’Italia dalle forniture europee di semiconduttori». Lo ha detto il premier Mario Draghi prima del Consiglio europeo di ieri. Ed è il segno che adesso la crisi del microchip comincia a far paura. Le ripercussioni, d’altronde, sono misurabili in ogni dove, anche in Puglia, sebbene la cassa integrazione non scorra copiosa - come in altre aree del Paese - per colmare il vuoto lasciato dalle mancate consegne asiatiche, strettamente connesse, nella fattispecie (chip), alle attività produttive dell’isola di Taiwan, oggi quanto mai contesa tra Usa e Cina. 

L'effetto


In Puglia, il primo effetto-blocco per l’industria pare sia stato momentaneamente superato. Ma le imprese continuano a lamentare ritardi e temono “ricadute”. Anche perché il boom della domanda ha innescato effetti diretti sul costo dell’energia e su tutte le materie prime, con incremento dei prezzi da capogiro. La scorsa settimana è stato raggiunto l’apice della sofferenza connessa alla irreperibilità di materie prime (semiconduttori inclusi) con il blocco forzato delle produzioni in Cnh Industrial, il colosso delle macchine movimento terra: stop di 8 giorni (fino al 14 ottobre) nello stabilimento di Lecce. E oltre la metà degli 850 lavoratori a casa, sfruttando ferie e permessi non fruiti. Mancavano soprattutto assali e trasmissioni. Ma molte delle 400 macchine ferme nel piazzale in attesa di consegna perché incomplete erano sprovviste, oltre che di gomme, anche di cruscotti, componenti in cui il chip fa la differenza, perché riconducibile anche ai “display driver”, che servono semplicemente per inviare informazioni base utili, per esempio, a illuminare lo schermo di un monitor. E, dopo Lecce, la multinazionale del gruppo Exor ha esteso il provvedimento a molti dei suoi plant europei. «Cnh Industrial - recita, infatti, il comunicato del 14 ottobre - chiuderà temporaneamente diversi dei propri siti produttivi di macchine agricole, veicoli commerciali e sistemi di produzioni in Europa, in conseguenza delle interruzioni alla catena di fornitura e alla carenza di componente chiave, in particolar modo semiconduttori.

Cnh Industrial rivede costantemente i propri piani di produzione per rispondere a questo contesto altamente volatile e programma di chiudere gli impianti interessati per non più di 8 giorni lavorativi nel mese di ottobre». Ora i sindacati chiedono garanzie, sebbene nelle ultime ore siano trapelate informazioni confortanti: a Lecce il confronto richiesto è imminente. 

La crisi energetica


Ma parallela a questa viaggia la crisi energetica che “infesta” i processi produttivi generando effetti a catena anche negli altri settori, moda in testa. L’onda proveniente dalla Cina è travolgente, perché il governo cinese sta imponendo limiti ai consumi anche nelle fabbriche. E i fornitori lo stanno comunicando ai loro clienti. Lo conferma la comunicazione ricevuta pochi giorni fa da Gda srl, azienda salentina attiva nel tessile e nell’abbigliamento di lusso. «Gentile cliente, la recente politica di “doppio controllo dei consumi energetici” del governo cinese - si legge - ha un impatto sulla capacità produttiva di alcune aziende manifatturiere e la consegna degli ordini in alcuni settori verrà ritardata. Alcune aree produrranno per 5 giorni e si fermeranno 2 giorni in una settimana, altre lavoreranno 2 e si fermeranno 4 giorni, altre ancora produrranno solo 2 giorni e si fermeranno 5 giorni. Inoltre, il ministero cinese dell’Ecologia e dell’ambiente ha pubblicato la bozza del “Piano d’azione autunno e inverno 2021-2022 per la gestione dell’inquinamento atmosferico”, quindi dall’1 ottobre al 31 marzo 2022 la capacità produttiva di alcuni settori potrebbe essere ulteriormente limitata. Questo causerà aumento dei prezzi e dei tempi di consegna». Aumenti che, nell’edilizia, caro energia e irreperibilità delle materie prime stanno portando alle stelle. Ripercussioni? Le rivelano le considerazioni rivolte alle istituzioni provenienti da un cantiere salentino da 55 milioni di euro, quello della Regionale8: «Sta aumentando il costo complessivo dell’opera pubblica e qualcuno dovrà riconoscerci le spese che per ora - ha spiegato l’appaltatrice Leadri a Quotidiano - stiamo provando a sostenere da soli».

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