Processo a Emiliano, chiesto un anno di reclusione per il governatore nel giudizio sul finanziamento illecito

Il pm ha proposto stessa pena per il suo ex capo di gabinetto Claudio Stefanazzi (ora parlamentare Pd) e otto mesi per gli imprenditori Vito Ladisa e Giacomo Mescia

Il presidente della Regione Emiliano
Il presidente della Regione Emiliano
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Venerdì 31 Marzo 2023, 10:30 - Ultimo aggiornamento: 20:16

La condanna a un anno di reclusione e a 90mila di multa è stata chiesta dalla pubblica accusa per Michele Emiliano, governatore della Puglia, processato a Torino per finanziamento illecito. Il pm Giovanni Caspani ha proposto la stessa pena per il suo ex capo di gabinetto Claudio Stefanazzi (ora parlamentare Pd) e otto mesi per gli imprenditori Vito Ladisa e Giacomo Mescia.

Le dichiarazioni del governatore

«Forse in passato quando la sentivo pronunciare da altri commettevo l'errore di considerarla una frase fatta: ora dico che confido nella giustizia.

Ho 63 anni e ho sempre cercato di comportarmi bene, sia nelle cose importanti che in quelle meno importanti».

Il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, aveva chiuso così oggi la dichiarazione spontanea, che ha reso in tribunale a Torino nel corso del processo. La vicenda è legata alla campagna per le primarie del Pd del 2017. Il processo, oltre a Emiliano, riguarda il suo ex capo di gabinetto Claudio Stefanazzi, ora parlamentare del Pd, e gli imprenditori Giacomo Mescia e Vito Ladisa.

Al vaglio del tribunale vi sono le somme versate dai due imprenditori alla Eggers di Pietro Dotti, la società del Torinese che si era occupata della campagna elettorale di Emiliano. Per l'accusa si trattò di un finanziamento occulto. «Mi sono candidato molte volte - ha detto Emiliano - e ho sempre seguito una regola: a occuparsi della raccolta dei finanziamenti doveva essere l'associazione Piazze d'Italia, che era molto attenta a scegliere gli interlocutori. Per questo non ho mai incontrato nessuno e negoziato alcunché. C'era anche un limite nell'ammontare del finanziamento, una specie di codice etico sovrapposto alle previsioni della legge. La separazione fra l'indirizzo politico della campagna e i profili amministrativi fu netta anche in occasione delle primarie». Emiliano ha ricordato che era scontento del lavoro svolto da Dotti «perché, senza dirci nulla, aveva riciclato lo stesso formato campagna elettorale della Serracchiani» in Friuli Venezia Giulia.

Quando l'imprenditore cominciò a sollecitare il pagamento della prestazione, arrivando a chiedere un decreto ingiuntivo, Emiliano discusse la situazione con i collaboratori: «Per me era importante non passare per uno che non paga, tanto più che la questione era finita sui giornali. Con Dotti non parlai: non avevo tempo e non volevo dirgli cosa ne pensavo. Ero talmente seccato che dissi ai collaboratori di sistemare la cosa: "se avete i soldi pagate, sennò ve li do io". Loro risposero "non preoccuparti, ce ne occupiamo noi". Non sentii più parlare della questione fino a quando ricevetti un messaggio da Dotti: "Sistemato tutto". Risposi solo "va bene", sempre senza aggiungere quel che ne pensavo». «Il mio timore - ha aggiunto Emiliano - è che di fronte a certi passaggi non chiari neppure a me possano sorgere dei dubbi. Ma sono eventi non ascrivibili a una mia responsabilità. Mi spiace - ha concluso rivolgendosi al tribunale - avere impegnato tanti anni il sistema giudiziario, i magistrati di Bari e di Torino. L'unica consolazione che posso offrirvi è che ho sofferto quanto voi».

I fatti nel 2017

I fatti risalgono al 2017 e si riferiscono a somme versate dalle aziende di Mescia e Ladisa alla Eggers, la società torinese che curò la campagna elettorale di Emiliano alle primarie di quell'anno del Pd. Stefanazzi ha raccontato che Emiliano, quando seppe che Pietro Dotti (il titolare di Eggers) sosteneva di non essere stato pagato «si arrabbiò moltissimo e ci disse "risolvete questa cosa"».

L'allora capo di gabinetto ha aggiunto che dallo staff elettorale gli chiesero di «interpellare degli amici per fare fronte al pagamento dei 20mila euro» rivendicati da Dotti. «Io - ha detto - pensai subito a Giacomo Mescia, un amico di cui avevo sempre apprezzato le doti di affidabilità e correttezza, che si disse disponibile. Poi non me ne occupai più». Il versamento alla Eggers da parte dell'azienda di Mescia, secondo Stefanazzi, sarebbe stato un finanziamento a titolo di «erogazione liberale». Il deputato ha definito «false» le ricostruzioni in base alle quali indicò Ladisa come il soggetto che avrebbe dovuto pagare la seconda parte del compenso richiesto da Dotti.

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