Boom di voucher in Puglia
«Ma non producono occupazione»

I voucher lavoro
I voucher lavoro
di Maria Claudia MINERVA
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Mercoledì 25 Maggio 2016, 06:54 - Ultimo aggiornamento: 13:35
In principio era nato come strumento per gli impieghi saltuari in agricoltura, per le ripetizioni del doposcuola o per le colf. Ora, invece, il voucher, anche conosciuto come buono-lavoro, è esteso a tutti i settori e il suo utilizzo cresce a dismisura, come testimoniano gli ultimi dati diffusi dal Centro Studi di Confartigiantao Imprese Puglia (su dati Inps), che rivelano un vero e proprio boom della Puglia nell’utilizzo dei voucher. A conferma basti sapere che nel primo primo trimestre di quest’anno sono stati venduti già circa un milione e mezzo di voucher, per l’esattezza 1.437.244.
Di fatto, oggi i buoni lavoro coprono tutte le categorie: un parcheggiatore notturno, un professore universitario che offra consulenze private o un autista valgono indistintamente 7 euro e 50 centesimi di paga netta l’ora, più un euro e trenta di contributi pensionistici all’Inps, settanta centesimi di assicurazione antinfortunistica all’Inail e cinquanta centesimi di gestione del servizio.

Dieci euro tondi tondi: cioè, il costo orario lordo di un lavoro flessibile che sempre più maschera un impiego stabile privo però di qualunque garanzia. Lo sa anche il ministro Giuliano Poletti, che ha già annunciato una modifica dei decreti legislativi del Jobs Act con l’introduzione di una misura che amplia la strumentazione di tracciabilità.
Intanto, il ricorso ai voucher si moltiplica.
In Puglia, rispetto al primo trimestre dell’anno scorso si registra un’impennata del 53,1 per cento; al 31 marzo 2015 ne erano stati distribuiti 938.932, che già raddoppiavano il numero di voucher del primo trimestre del 2014 (450.282). Sono sempre di più, dunque, i lavoratori remunerati attraverso i buoni lavoro. Basti pensare che nel 2008, in Puglia, ne furono “staccati” 2.443, l’anno successivo 24.573, nel 2010 furono 196.432, l’anno dopo 271.620, nel 2012 furono distribuiti 606.052 voucher, l’anno successivo 1.344.215, l’anno dopo ancora 3.014.286 e nel 2015 ben 5.428.142. In costante crescita anche il numero dei lavoratori interessati.
Il vantaggio principale per il lavoratore è che il compenso è esente da ogni imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato. È, inoltre, cumulabile con i trattamenti pensionistici. Il committente, invece, da parte sua, può beneficiare di prestazioni nella completa legalità, con copertura assicurativa Inail, in caso di eventuali incidenti sul lavoro, e senza dover stipulare alcun tipo di contratto. Il voucherista, però, non ha infatti diritto a riposi o a ferie pagate. Come non ha diritto ad ammalarsi, a curarsi, a maternità o paternità, a ottenere un mutuo per la casa, al congedo matrimoniale, al permesso per accudire i figli malati, perché al di fuori delle ore pagate dal buono, il rapporto di lavoro e lo stesso lavoratore cessano di esistere.

«La continua crescita del lavoro accessorio è un fenomeno che occorre valutare con attenzione – sottolinea Francesco Sgherza, presidente di Confartigianato Imprese Puglia – . Di sicuro, un rapporto di lavoro legale è preferibile rispetto al lavoro nero ed è proprio per questo che nascono i voucher: per consentire l’emersione di nicchie di lavoro discontinuo e saltuario, come tale molto esposto al rischio di sommerso. Eppure – continua Sgherza – questi numeri in costante e rapido incremento sono sintomo di un mercato incapace di proporre occupazione stabile, con le imprese che, specie in alcuni settori, fanno ancora molta difficoltà a programmare le proprie attività su periodi medio-lunghi».

La crisi economica fa la sua parte, spingendo gli imprenditori a tagliare i costi e a impiegare i dipendenti a ore o a giornata, soltanto quando servono. E mette anche a disposizione una massa di disoccupati, cassintegrati, esodati, mobilitati, licenziati costretti a svolgere più lavori saltuari per racimolare uno stipendio. «La strada per tornare ai livelli occupazionali pre-crisi è lunga ma c’è solo una via: occorre mettere le imprese, specie quelle piccole e più dinamiche, nelle condizioni di pagare meno tasse, di effettuare maggiori investimenti, di contare su un mercato interno che tira e su un sistema creditizio che le supporti anche per piani di lungo periodo - conclude Sgherza -. Gli incentivi e le norme possono dare una mano, ma solo sostenendo le imprese saremo in grado di creare nuova occupazione stabile e di qualità».
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