Primarie Pd processo a Emiliano: in aula il testimone chiave

A Torino nuova udienza del processo con imputati il presidente e Stefanazzi

Primarie Pd processo a Emiliano: in aula il testimone chiave
di Matteo CAIONE
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Sabato 29 Ottobre 2022, 09:09 - Ultimo aggiornamento: 09:50

Ti dispiace se non ti paga Emiliano ma qualcun altro?. Nuovo capitolo per il processo che a Torino vede imputati, tra gli altri, il governatore della regione Puglia, Michele Emiliano, e il suo capo di gabinetto, Claudio Stefanazzi, appena eletto parlamentare del Pd, per concorso in finanziamento illecito ai partiti. Nell'udienza di ieri è stato ascoltato come teste l'imprenditore piemontese Pietro Dotti. Testimoniando nell'aula di tribunale, quello che viene considerato come testimone-chiave, ha ricostruito la vicenda ammettendo di non ricordare bene i dettagli e, in qualche occasione, facendo anche confusione tra le date.

La vicenda

Ti dispiace se non ti paga Emiliano ma qualcun altro?: fu di questo tenore, nel 2017, la risposta che dopo numerose sollecitazioni lo stesso Dotti, titolare di un'agenzia di comunicazione (ora in pensione), ebbe alla richiesta di ottenere le somme pattuite per avere curato la campagna del presidente della Regione Puglia in occasione delle primarie del Pd. È quello che ieri mattina ha riferito lui stesso in tribunale a Torino.

Oltre a Emiliano e Stefanazzi, sono imputati gli imprenditori Vito Ladisa, titolare di una holding della ristorazione a Bari e attivo anche nel campo dell'editoria, e il foggiano Giacomo Mesci, che opera nel settore delle energie rinnovali. Il quadro tratteggiato dalla testimonianza di Dotti è stato ricomposto con le domande del pm Francesco Caspani e degli avvocati difensori. Alle prime dell'aprile 2017 Emiliano sfidò Matteo Renzi (poi risultato vincitore) e Andrea Orlando. Il 27 luglio successivo alle urne interne al Pd, Dotti incontrò a Torino Ladisa e il giorno seguente gli preparò un preventivo.

Secondo le accuse il denaro era a copertura di una parte delle somme dovute da Emiliano. Tuttavia, le difese degli imputati sostengono che proprio dalla stessa testimonianza di Dotti è emerso che l'imprenditore svolse un lavoro per Ladisa legato alla campagna di sensibilizzazione ambientale Yes you green, e che quindi la fattura non è riconducibile in alcun modo al presidente della Regione Puglia, ma a una prestazione effettivamente eseguita.

Il 21 settembre successivo Dotti fece poi notificare un decreto ingiuntivo a Emiliano e in aula gli è stato chiesto il motivo, visto che poche settimane prima aveva raggiunto un accordo con Ladisa: «La pratica legale - ha risposto - era già avviata da tempo e avevo detto al mio avvocato di andare avanti. Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio». I quattro sono a processo per concorso nella violazione delle norme sul finanziamento pubblico ai partiti, perché secondo l'impianto accusatorio - Mescia e Ladisa su interessamento di Stefanazzi si sarebbero fatti carico di pagare i 65mila euro vantati da Dotti nei confronti di Emiliano per la campagna di comunicazione, un contributo «non deliberato dall'organo sociale competente» delle due società e non iscritto in bilancio. A Torino il fascicolo era arrivato da Bari. E inizialmente erano stati contestati capi di imputazione gravi, quali induzione indebita a dare o promettere utilità, abuso d'ufficio e false fatturazioni. E quello che è oggi un deputato dem, ovvero Stefanazzi, era stato coinvolto nella vicenda perché ritenuto il tramite tra Emiliano e gli imprenditori. Successivamente il quadro accusatorio si è ridimensionato: alla fine l'accusa che è rimasta in piedi e con la quale i quattro sono andati a processo è di una violazione della legge sul finanziamento ai partiti.

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