Ucraina, Padre Roman Laba per la pace: la messa da un garage contro i bombardamenti

Ucraina, Padre Roman Laba per la pace: la messa da un garage contro i bombardamenti
di Leda CESARI
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Venerdì 4 Marzo 2022, 08:51

Padre Roman Laba continua a celebrare la sua messa quotidiana, ma da qualche giorno a questa parte la parrocchia - dedicata alla Vergine Maria del Perpetuo Soccorso - si è spostata qualche metro più in là. Anzi qualche metro più giù, per la precisione, perché a causa dei bombardamenti in corso sulla sua città, Brovary - realtà grande più o meno come Lecce a venti chilometri da Kiev - la chiesa si è trasferita nello scantinato di mattoni rossi sottostante.

Da lì, da questo luogo che se potessimo fare ironia, fuori da un frangente del genere, potremmo ricondurre al classico status casa e chiesa, padre Roman accudisce il suo piccolo gregge di ottanta persone che hanno trovato rifugio proprio lì: moltissimi i bambini.

E sempre da lì padre Roman, su Twitter come su altri social, lancia i suoi appelli all'Occidente.

Per la pace, ma anche no: tra le richieste di padre Laba, infatti, anche quella alla Nato di chiudere lo spazio aereo sull'Ucraina. Il che, al primo sconfinamento di un aereo russo, equivarrebbe ad una scintilla di guerra totale. I suoi parrocchiani, infatti, sono sempre più terrorizzati dai bombardamenti massicci in corso sulla città, e soprattutto dal fatto che i viveri di scorta - pure cospicui, inizialmente - stiano cominciando a scarseggiare. Manca tutto, soprattutto il latte per i bambini, e a Brovary non si trova più un negozio aperto neanche a pagarlo oro. Presto sarà insomma necessario che qualcuno, sfidando le bombe e i posti di blocco, vada a Kiev a fare rifornimento. Anche di speranza, magari.

La speranza e la guerra

Sarebbe bello poterla comprare, la speranza, ma con la guerra in corso la cosa diventa difficile. Anche perché le ragioni del conflitto non sono solo politiche, economiche, militari. «C'è anche un motivo sottaciuto che in una società secolarizzata come la nostra non si può ammettere: la questione religiosa - avverte Alessandro Monteduro, leccese e direttore della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre -. In un Paese dove l'86 per cento della popolazione è cristiana, ma si ha un vicino ingombrante come la Russia di Putin, può accadere anche questo. Come può accadere, e accade, che la Chiesa ortodossa russa sia in forte imbarazzo, in questo momento, e in silenzio, perché in Russia non esiste alcuna separazione tra Stato e Chiesa. Il che - racconta ancora Monteduro - la differenzia dall'Ucraina, la cui Costituzione, datata 1996, si fonda su principi laici: è una Costituzione di tipo occidentale».

A segnare un'ulteriore svolta traumatica tra i due Paesi è stato l'atto con cui a ottobre 2018 la Chiesa ortodossa dell'Ucraina ha segnato la propria indipendenza ecclesiastica dal Patriarcato ortodosso di Mosca, che ha perso così giurisdizione su circa 30 milioni di fedeli, 7mila chiese, 77 monasteri, 47 diocesi, distacco subito sancito dal Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo. Per la Chiesa ortodossa russa si è trattato di uno scisma bello e buono, «né più né meno di quello provocato nel 1534 da Enrico VIII». La devozione religiosa degli ucraini è pari solo al loro senso dell'identità: non solo uomini, anche molte donne scelgono di rimanere in Ucraina, in questi giorni, per difendere il Paese. «E per morire per la loro libertà - conclude Monteduro -. C'è sicuramente molto da imparare da quello che vediamo in questi giorni in tivù».
 

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