Otranto, Edison conferma: «Avanti con il gasdotto, nessuna criticità»

Otranto, Edison conferma: «Avanti con il gasdotto, nessuna criticità»
di Francesco G.GIOFFREDI
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Sabato 26 Marzo 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 09:37

Scenari rivoluzionati, nuove mappe geopolitiche: guerra e crisi energetica ridisegnano le priorità. La fame di gas dell’Europa e dell’Italia obbligano ad accendere il radar su tutti i progetti. Anche quelli che sembravano dimenticati: è il caso di EastMed-Poseidon, “l’altro gasdotto” (rispetto a Tap) autorizzato e mai realizzato. Approdo a Otranto, gas dal bacino Levantino tra Israele, Cipro ed Egitto, 10 miliardi di metri cubi all’anno. E il rinnovato interesse dei grandi player internazionali, dagli Usa alla stessa Ue. Edison, che è una delle due gambe (insieme con la greca Depa) della joint venture Igi Poseidon, rilancia la «fondatezza delle ragioni del progetto»: lo spiega Fabrizio Mattana, executive vice president Gas asset della società.

Il gasdotto Eastmed-Poseidon sembrava ormai un’opera definitivamente messa da parte. Ora tornano a riaccendersi i fari. Edison ritiene ancora attuale il progetto?
«Lo scenario attuale ha reso comprensibile la fondatezza delle ragioni su cui il progetto si basa: la necessità di diversificare rotte e approvvigionamenti di gas naturale al fine di incrementare la sicurezza energetica. Edison ha sempre seguito questa bussola. Una strategia che si riflette nel nostro portafoglio long-term di gas naturale con contratti dal Qatar, dalla Libia, dall’Algeria e dall’Azerbaijan.

Con la Russia abbiamo solo un contratto annuale, che rappresenta il 7% del nostro portafoglio e che è in scadenza alla fine di quest’anno. Siamo il primo importatore di gnl attraverso il terminale offshore di Rovigo, che tra molte difficoltà abbiamo sviluppato oltre dieci anni fa. In un’ottica di medio termine EastMed è l’unico progetto con una soglia di maturazione e sviluppo che consentirebbe all’Italia di collegare nuove e ingenti riserve in tempi relativamente brevi e a vantaggio del sistema europeo. In una prima fase potrebbe portare 10 miliardi di metri cubi di gas, raddoppiabile a 20, con una quota crescente di idrogeno».

Sareste nelle condizioni di avviare il cantiere entro il primo ottobre 2023, come da proroga dell’autorizzazione da parte del ministero, per chiudere i lavori nei due anni successivi? Edison ha parlato di “quattro anni” per realizzare l’opera: sono tempi comunque lunghi. 
«Dobbiamo distinguere da ciò che può essere messo in campo per affrontare l’emergenza energetica oggi da ciò che può diventare strutturale nel tempo e portarci di conseguenza fuori da rapporti di esclusiva dipendenza. La realtà è che dall’oggi al domani il Paese non può fare a meno dell’import di quasi 30 miliardi di metri cubi dalla Russia, ma allo stesso tempo si deve costruire una strada per la sicurezza degli approvvigionamenti per gli anni a venire. Tutti gli operatori, compresi noi, sono al lavoro per massimizzare le importazioni e garantire adeguatezza del riempimento degli stoccaggi. Nel breve periodo si studia come rifornire di volumi addizionali i rigassificatori esistenti per gli slot di carico ancora disponibili e come impiegare altri rigassificatori galleggianti da ancorare lungo le coste italiane. Questo sforzo è necessario, diverso è ritenerlo sufficiente nell’ottica della diversificazione. È necessario accompagnare queste misure con una strategia che abbracci soluzioni realizzabili nel medio termine che garantiscano maggiore sicurezza in modo strutturale e consentano di affrontare il percorso di transizione energetica al 2050 in modo più sicuro e competitivo. È nell’interesse del sistema energetico europeo ed italiano avviare il progetto. E l’Europa, in questo momento, deve agire unita e in modo coordinato, facendo leva sulla cooperazione, che è l’unico modo per accelerarne i tempi di realizzazione».

Ma come mai finora non è partito il cantiere del gasdotto? Il vero nodo è sempre stato l’approvvigionamento del gas? Per anni l’infrastruttura era sprovvista di fornitura.
«Il progetto è stato confermato tecnicamente ed economicamente fattibile a seguito di una estesa campagna di indagini e di studi ingegneristici nel 2019. E non sono state individuate criticità per la futura fase di costruzione. Entro la fine del 2022 prevediamo il completamento delle attività di design e di sviluppo, cui potrà seguire la decisione finale d’investimento. Le risorse di gas sono disponibili e la necessità dell’Europa di approvvigionarsi di fonti diverse da quelle tradizionali è oggi evidente. Per l’avvio di un progetto di questo tipo serve che tutti gli elementi sia tecnici che commerciali siano chiari unitamente all’allineamento strategico dei Paesi coinvolti».

Avete assegnato i contratti per la fase realizzativa?
«I contratti sono stati negoziati e potrebbero essere assegnati a breve coinvolgendo anche primarie eccellenze dell’industria italiana, in grado di garantire pure durante la fase progettuale i più elevati standard realizzativi e di efficienza operativa dell’infrastruttura».

Gli Stati Uniti avevano frenato su EastMed. Adesso potrebbero cambiare posizione, anche alla luce delle parziali aperture della Turchia sullo sfruttamento del Bacino Levantino. Sta cambiando il contesto e il “clima” internazionale attorno al gasdotto?
«Il contesto impone una riflessione seria sulla sicurezza energetica italiana ed europea. A questo proposito, alcune settimane fa si è espresso anche l’ad di Chevron, che è il principale operatore dell’area da cui potrebbe approvvigionarsi l’EastMed, dicendo che è una valida soluzione alle necessità di approvvigionamento europeo. È importante sottolineare che EastMed non è solamente un progetto di diversificazione per i Paesi importatori, ma anche un’opzione di diversificazione per i produttori».

E state dialogando col governo per realizzare il gasdotto?
«Come operatore energetico abbiamo un dialogo costante con le istituzioni, perché progetti come questi non ne possono fare a meno. Alla luce dell’emergenza che stiamo vivendo l’unicità delle caratteristiche di EastMed-Poseidon sono sicuramente più evidenti a tutti».

Avete avuto interlocuzioni con la Regione e con gli enti locali interessati dall’opera?
«Le interlocuzioni proseguono da lungo tempo in uno spirito di cooperazione, con il fine di individuare le migliori soluzioni. Ne sono dimostrazione le attività relative all’individuazione dell’area del futuro terminale di Otranto, svolte attraverso un continuo e costruttivo dialogo».

Pochi chilometri più a nord c’è già il Tap: troppi due gasdotti in un raggio così ridotto, in termini di impatto? Avete messo in conto i “no” del territorio?
«In realtà tutte le scelte progettuali sono state preventivamente condivise con gli enti locali attraverso un processo di coinvolgimento in totale trasparenza del territorio che ha avuto, sin dall’inizio, l’obiettivo comune di minimizzare l’impatto dell’opera. Lo studio di impatto ambientale ha analizzato numerose alternative di approdo possibili, tra le quali Otranto è risultata la soluzione migliore. Nel corso degli anni il dialogo con Otranto e con tutte le amministrazioni comunali è stato sempre positivo e costruttivo grazie anche al coinvolgimento attivo del territorio e della comunità locale, incontrata in assemblee pubbliche. Il progetto prevede l’adozione fin da principio di soluzioni progettuali sostenibili, quali ad esempio il criterio del “parallelismo”, che prevede l’affiancamento del tracciato al cavidotto Terna, infrastruttura già esistente».

Tap è operativo, intanto. E ha già fatto i conti con le contestazioni locali.
«Sono due progetti profondamente diversi e non in competizione. Il Tap è stato fortemente contestato e oggi è sotto gli occhi di tutti la sua rilevanza. Anche Edison importa 1 miliardo di metri cubi dall’Azerbaijan, tramite questa infrastruttura. Dall’altra parte l’Azerbaijan è un Paese fortemente interconnesso con la Russia e un raddoppio di capacità non aggiungerebbe un grosso elemento di diversificazione. EastMed-Poseidon, come detto, consente di approvvigionare fonti diverse con una rotta nuova. Nell’area del bacino Levantino oggi è disponibile una capacità dai giacimenti israeliani in produzione fino a 30 miliardi di metri cubi all’anno, che copre i consumi interni del Paese e che viene esportata verso Egitto e Giordania. Dagli altri giacimenti in sviluppo nell’area, si possono attingere ulteriori 20 miliardi di metri cubi all’anno, a cui in futuro potranno aggiungersi anche i giacimenti tra Cipro ed Egitto. L’EastMed passerebbe attraverso un sistema di riserve che garantisce all’infrastruttura flessibilità d’impiego nel tempo».

Qual è la situazione al momento in termini di caratterizzazioni e bonifiche del sito d’approdo?
«La società sta collaborando con tutti gli enti preposti per proseguire con le attività di mappatura e caratterizzazione, che sono già in corso».

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