Il Nobel Parisi: «Fermare il conflitto fra Russia e Ucraina con la diplomazia della scienza»

Il Nobel Parisi: «Fermare il conflitto fra Russia e Ucraina con la diplomazia della scienza»
di Paola ANCORA
5 Minuti di Lettura
Mercoledì 17 Maggio 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 16:39

La fede “nelle magnifiche sorti e progressive dell’umana gente” cantata da Leopardi ne “La ginestra” si consuma alla velocità vorace del «consumismo tecnologico». Con essa, precipita la fiducia nell’autorità, nel nocchiere al timone di questa nave, l’Occidente, smarrito di fronte alle sfide epocali che stiamo affrontando. La lectio magistralis di Giorgio Parisi - il Nobel per la Fisica che ha ricevuto il riconoscimento del sigillo d’oro ieri a Bari, lodando l’Ateneo «e le Università del Sud, che devono crescere» – ha saldato insieme scienza e pace in 41 minuti di un appassionato discorso rivolto sì agli studenti, ma anche alla politica e ai grandi del mondo «ché dimostrino un poco della saggezza di Kennedy e Krusciov», mettendo fine al conflitto fra Russia e Ucraina e accompagnando il pianeta verso il disarmo nucleare. Il riferimento è alla crisi missilistica di Cuba: «Ci siamo fermati sul bordo dell’abisso e siamo ancora vivi, ma ora il tempo della guerra fredda sta tornando – ha detto Parisi – ed è nostro dovere disinnescare il conflitto» perché, sebbene oggi vi siano nel mondo circa 10mila testate nucleari contro le 60mila degli anni Ottanta, «un’arma del genere è ancora in grado di distruggere l’emisfero settentrionale». Anche oggi, al confine dell’Europa e con oltre 10 milioni di sfollati dall’Ucraina, «è difficile individuare un accordo se ci si limita al confronto fra i due contendenti – ha proseguito il Nobel – ma aprendo un negoziato globale, immaginando una fascia denuclearizzata in Europa e un accordo per il disarmo, tutto diventa possibile». 

Il ruolo della scienza

Il possibile è un traguardo alla portata di quella “diplomazia degli scienziati” che già in passato ha avuto un ruolo diretto nella costruzione di politiche di pace. Si pensi alla creazione del Cern, nel 1954, «tre anni prima del Trattato di Roma che ha dato vita alla Comunità economica europea» ha ricordato Parisi. Del Cern di Ginevra facevano parte 12 Paesi, sei più che nella Cee, e vi collaboravano anche gli scienziati al di là del muro di Berlino. Perché l’amore per la scienza edifica cattedrali di solidarietà necessarie a un’unica, universale preghiera laica: il progresso dell’umano e, dunque, l’affrancamento dalla guerra come metodo di risoluzione dei conflitti. 
Parisi cita Józef Rotblat, il grande fisico ebreo polacco che concepì l’atomica, sfuggì al nazismo e nel 1944 si rifiutò per ragioni morali, unico tra i suoi colleghi, di continuare a lavorare al progetto della bomba.

Nel 1955 Rotblat, che ricevette anni dopo il premio Nobel per la Pace, firmò, insieme ad altri dieci scienziati (Einstein e Russel compresi), il Manifesto contro la proliferazione degli armamenti atomici e, due anni dopo, organizzò la conferenza di Pugwash, in Canada, che gettò le basi per il primo Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, firmato nel 1970. «Come allora fece Rotblat – ha detto Parisi – anche oggi ci rivolgiamo agli scienziati coinvolti direttamente o indirettamente nel conflitto russo-ucraino perché intervengano a denunciare i rischi reali connessi all’uso del nucleare». Un appello che trae e trarrà la sua forza dalla fiducia nella scienza, capace di costruire «legami e ponti al di là di ogni nazionalismo». Ed è anche sulla fiducia nella scienza che la politica e gli stessi scienziati sono chiamati a un nuovo impegno. «Il prestigio nella scienza e la fiducia riposta in essa stanno rapidamente diminuendo» ha messo in guardia Parisi. Avanzano tendenze anti-scientifiche che, nel corso della pandemia da Covid, hanno mietuto milioni di vittime. «Questa sfiducia di massa può essere dovuta a una certa arroganza di taluni scienziati – ha aggiunto il fisico - che presentano la scienza come una verità assoluta anche quando non è così». Oppure dal rifiuto «di accettare i propri limiti, che può finire per indebolire il prestigio degli scienziati, visti come una élite. E ci sono, ancora, cattivi scienziati, che hanno rapporti opachi con poteri politici ed economici». Anche la crisi della democrazia gioca a sfavore della scienza: «Cambiare questa percezione non è facile, ma è necessario perché se troppi cittadini voltano le spalle alla scienza, la politica, inseguendo il consenso, rischia di farlo a sua volta». 

Le potenzialità della scienza

Eppure le potenzialità della scienza, gli strumenti che essa ci consegna per il futuro, sono enormi e sono indispensabili per affrontare le crisi che abbiamo davanti: la guerra, certo, ma anche il cambiamento climatico. «Per farlo con successo serve uno sforzo mostruoso da parte di tutti – ha detto ancora Parisi – e un costo sociale e finanziario imponente. La politica deve fare in modo che questo costo sia accettabile da tutti e ripartito in modo proporzionale, giusto ed equo: chi ha usato più risorse deve contribuire di più». Perché se è vero che la scienza è stata sfruttata spesso per la guerra – si pensi alle magnifiche macchine belliche di Archimede – ancora meglio può servire la pace, che si farà spazio «soltanto se supereremo le tante diseguaglianze dell’oggi, lasciandoci guidare da un basilare istinto di conservazione. “Davanti a noi, se lo vogliamo - recitava il manifesto per il disarmo lanciato da Rotblat e ripreso, in conclusione, dal fisico italiano - c’è un continuo progresso nella felicità. Dovremmo invece scegliere la morte perché non riusciamo a superare i nostri litigi? Ricordate la vostra umanità e dimenticate il resto”. Proviamoci, almeno.

© RIPRODUZIONE RISERVATA