La fede “nelle magnifiche sorti e progressive dell’umana gente” cantata da Leopardi ne “La ginestra” si consuma alla velocità vorace del «consumismo tecnologico». Con essa, precipita la fiducia nell’autorità, nel nocchiere al timone di questa nave, l’Occidente, smarrito di fronte alle sfide epocali che stiamo affrontando. La lectio magistralis di Giorgio Parisi - il Nobel per la Fisica che ha ricevuto il riconoscimento del sigillo d’oro ieri a Bari, lodando l’Ateneo «e le Università del Sud, che devono crescere» – ha saldato insieme scienza e pace in 41 minuti di un appassionato discorso rivolto sì agli studenti, ma anche alla politica e ai grandi del mondo «ché dimostrino un poco della saggezza di Kennedy e Krusciov», mettendo fine al conflitto fra Russia e Ucraina e accompagnando il pianeta verso il disarmo nucleare. Il riferimento è alla crisi missilistica di Cuba: «Ci siamo fermati sul bordo dell’abisso e siamo ancora vivi, ma ora il tempo della guerra fredda sta tornando – ha detto Parisi – ed è nostro dovere disinnescare il conflitto» perché, sebbene oggi vi siano nel mondo circa 10mila testate nucleari contro le 60mila degli anni Ottanta, «un’arma del genere è ancora in grado di distruggere l’emisfero settentrionale». Anche oggi, al confine dell’Europa e con oltre 10 milioni di sfollati dall’Ucraina, «è difficile individuare un accordo se ci si limita al confronto fra i due contendenti – ha proseguito il Nobel – ma aprendo un negoziato globale, immaginando una fascia denuclearizzata in Europa e un accordo per il disarmo, tutto diventa possibile».
Il ruolo della scienza
Il possibile è un traguardo alla portata di quella “diplomazia degli scienziati” che già in passato ha avuto un ruolo diretto nella costruzione di politiche di pace. Si pensi alla creazione del Cern, nel 1954, «tre anni prima del Trattato di Roma che ha dato vita alla Comunità economica europea» ha ricordato Parisi. Del Cern di Ginevra facevano parte 12 Paesi, sei più che nella Cee, e vi collaboravano anche gli scienziati al di là del muro di Berlino. Perché l’amore per la scienza edifica cattedrali di solidarietà necessarie a un’unica, universale preghiera laica: il progresso dell’umano e, dunque, l’affrancamento dalla guerra come metodo di risoluzione dei conflitti.
Parisi cita Józef Rotblat, il grande fisico ebreo polacco che concepì l’atomica, sfuggì al nazismo e nel 1944 si rifiutò per ragioni morali, unico tra i suoi colleghi, di continuare a lavorare al progetto della bomba.
Le potenzialità della scienza
Eppure le potenzialità della scienza, gli strumenti che essa ci consegna per il futuro, sono enormi e sono indispensabili per affrontare le crisi che abbiamo davanti: la guerra, certo, ma anche il cambiamento climatico. «Per farlo con successo serve uno sforzo mostruoso da parte di tutti – ha detto ancora Parisi – e un costo sociale e finanziario imponente. La politica deve fare in modo che questo costo sia accettabile da tutti e ripartito in modo proporzionale, giusto ed equo: chi ha usato più risorse deve contribuire di più». Perché se è vero che la scienza è stata sfruttata spesso per la guerra – si pensi alle magnifiche macchine belliche di Archimede – ancora meglio può servire la pace, che si farà spazio «soltanto se supereremo le tante diseguaglianze dell’oggi, lasciandoci guidare da un basilare istinto di conservazione. “Davanti a noi, se lo vogliamo - recitava il manifesto per il disarmo lanciato da Rotblat e ripreso, in conclusione, dal fisico italiano - c’è un continuo progresso nella felicità. Dovremmo invece scegliere la morte perché non riusciamo a superare i nostri litigi? Ricordate la vostra umanità e dimenticate il resto”. Proviamoci, almeno.