Nel rapporto Svimez c'è una stima allarmante che riguarda la Puglia: il calo

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Giovedì 2 Agosto 2018, 09:44 - Ultimo aggiornamento: 12:00
Nel rapporto Svimez c'è una stima allarmante che riguarda la Puglia: il calo demografico dovuto alla sommatoria tra saldo naturale a saldo migratorio. Infatti, per effetto di questa componente, nel 2065, in pratica fra meno di 50 anni, la nostra regione potrebbe ritrovarsi con un milione in meno di abitanti, passando così da quattro a tre milioni di persone. Un trend, quello legato al calo demografico, che riguarda tutta l'Italia e che in Puglia, se le stime fossero confermate, potrebbe avere effetti devastanti. Ma tant'è. I giovani, soprattutto quelli laureati, continuano a fare la valigia e ad emigrare sia nelle regioni del Nord che nel resto dell'Europa e del mondo. Un dato su tutti: negli ultimi 16 anni hanno lasciato il Mezzogiorno 1 milione e 883mila residenti: la metà giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati, il 16% dei quali si è trasferito all'estero. Quasi 800 mila non sono tornati. I motivi di questa inarrestabile diaspora sono facilmente intuibili: mancanza di lavoro. Eppure, come dice la Svimez, l'occupazione sta crescendo, ma è debole e precaria. Il dato più eclatante è il drammatico dualismo generazionale: il saldo negativo di 310 mila occupati tra il 2008 e il 2017 al Sud è la sintesi - dice la Svimez - di una riduzione di oltre mezzo milione di giovani tra i 15 e i 34 anni (-578mila), di una contrazione di 212 mila occupati nella fascia adulta 35-54 anni e di una crescita concentrata quasi esclusivamente tra gli ultra 55enni (+470 mila unità). In Puglia, però, negli ultimi anni, c'è un inversione di tendenza che si registra soprattutto in agricoltura, che fa da traino con l'aumento del 6% di occupati - soprattutto giovani che hanno riscoperto il gusto di lavorare la terra - negli ultimi cinque anni, come sottolinea anche Coldiretti.
Per il resto, si brancola nel buio con le famiglie che diventano sempre più povere, Infatti, come si legge nel rapporto Svimez, nel Mezzogiorno «si delinea una netta cesura tra dinamica economica che, seppur in rallentamento, ha ripreso a muoversi dopo la crisi, e una dinamica sociale che tende ad escludere una quota crescente di cittadini dal mercato del lavoro, ampliando le sacche di povertà e di disagio a nuove fasce della popolazione».
C'è un dato drammatico su cui la Svimez invita a riflettere: il numero di famiglie meridionali con tutti i componenti in cerca di occupazione è raddoppiato tra il 2010 e il 2018, da 362 mila a 600 mila (nel Centro-Nord sono 470 mila). Il numero di famiglie senza alcun occupato è cresciuto anche nel 2016 e nel 2017, in media del 2% all'anno, nonostante la crescita dell'occupazione complessiva, a conferma del consolidarsi di aree di esclusione all'interno del Mezzogiorno, concentrate prevalentemente nelle grandi periferie urbane. «Si tratta di sacche di crescente emarginazione e degrado sociale - scrive Svimez -, che scontano anche la debolezza dei servizi pubblici nelle aree periferiche». Preoccupante la crescita del fenomeno dei «working poors: la crescita del lavoro a bassa retribuzione, dovuto a complessiva dequalificazione delle occupazioni e all'esplosione del part time involontario, è una delle cause, in particolare nel Mezzogiorno, per cui la crescita occupazionale nella ripresa non è stata in grado di incidere su un quadro di emergenza sociale sempre più allarmante».
M.C.M.
 
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