Nel Dna lo scudo che protegge il Sud. «Diffusi al Nord due geni pro-virus»

Nel Dna lo scudo che protegge il Sud. «Diffusi al Nord due geni pro-virus»
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Martedì 28 Luglio 2020, 09:20 - Ultimo aggiornamento: 17:43

Anche uno scudo genetico potrebbe aver contribuito come difesa contro il Covid, garantendo difese immunitarie più forti agli individui di alcune regioni e province italiane, rispetto ad altre e contribuendo così a disegnare la geografia dei contagi e dei casi lungo lo Stivale. Il Sud sarebbe l'area da cui arriva il gene più resistente anche se a Nord la situazione è a macchia di leopardo.
È quanto suggerisce uno studio italiano pubblicato sull'International Journal of Molecular Sciences e coordinato da Antonio Giordano, dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine, Temple University, a Philadelphia e dell'Università di Siena.

Più diffusi al Settentrione, meno al Meridione
L'idea che esistesse una sorta di difesa innata anti-coronavirus fra gli abitanti delle aree italiane meno colpite era stata anticipata da Giordano e colleghi a fine maggio in un articolo su 'Frontiers Immunology'. Ora la conferma, con la scoperta di »due alleli dell'Hla (sistema antigenico dei leucociti umani), un insieme di geni altamente polimorfici che hanno un ruolo chiave nel modellare la risposta immunitaria antivirale», che «correlano positivamente con i casi di Covid-19 registrati nelle diverse province del nostro Paese in periodo di piena pandemia». Si chiamano Hla B44 e C01 e potrebbero aver favorito l'azione di Sars-Cov-2 in Lombardia e nelle altre zone travolte dalla pandemia.
 

 

«Questo studio - spiega Giordano - potrebbe generare un importante test diagnostico per identificare i soggetti predisposti alla comparsa di sintomi più gravi in caso di infezioni virali». Lo studio si basa sull'utilizzo dei dati genetici del registro italiano donatori di midollo (IBMDR), che include circa 500.000 donatori provenienti da tutta la penisola. Gli esperti hanno scoperto che la distribuzione di certi geni cruciali per il funzionamento del sistema immunitario nel Dna di individui che abitano le diverse regioni italiane ricalca fedelmente la distribuzione dei casi sul territorio nazionale, come se vi fossero dei geni più o meno protettivi contro il Coronavirus.
In particolare gli scienziati hanno considerato i geni per il sistema HLA, che svolge un ruolo cruciale nei meccanismi di difesa immunitaria del nostro organismo. Diversi studi hanno già evidenziato una correlazione tra certe varianti geniche del sistema HLA e grado di suscettibilità ad alcune infezioni virali. Gli esperti hanno scoperto che la presenza o assenza nel Dna degli italiani di due varianti geniche di questo sistema - 2HLA-B*44 e C*01 - ricalca la distribuzione geografica del contagio: maggiore la percentuale di individui portatori dei geni HLA-B*44 e C*01 in un certo territorio, maggiore la diffusione del Covid in quel territorio. Addirittura all'interno di una stessa regione in cui la frequenza dei casi è stata molto diversa da provincia a provincia (come nel caso di Emilia Romagna e Marche) la distribuzione dei geni HLA-B*44 e C*01 nelle popolazioni locali rispecchia perfettamente la frequenza del contagio nelle diverse province della stessa regione. Ciò evidenzia la capacità di questi HLA di innescare reazioni immunologiche inadeguate nei confronti del SARS-Cov-2. «L'identificazione di HLA permissivi o protettivi nei confronti dell'infezione da Coronavirus potrebbe fornire informazioni preziose per la gestione clinica dei pazienti oltre a definire priorità nelle future campagne di vaccinazione in un modo facile ed economico» afferma Luciano Mutti, co-primo autore dello studio. «Saranno poi necessari nuovi studi per confermare questi risultati in coorti di pazienti Covid-19», afferma un altro autore, Giovanni Baglio, epidemiologo del Ministero della Salute. In sintesi gli alleli HLA B*44 e C*01 potrebbero conferire maggiore suscettibilità all'infezione da Covid-19, ed è «in corso uno studio caso-controllo su pazienti di tutta Italia in cui è stata riscontrata positività all'infezione per verificare quanto è emerso dal nostro studio ecologico», conclude Giordano.

 

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