Poco meno di 7.000 persone hanno lasciato la regione nel 2020 alla ricerca di miglior fortuna altrove. Una fuga che nel 2019 ha conosciuto un picco - sono andati via 11mila cittadini - ma che è costante dal 2015: in cinque anni, secondo l’Istat, la Puglia ha perso 44.500 abitanti. Anche questi numeri contribuiscono a ingrossare l’emergenza denatalità, che qui nel Mezzogiorno è ormai ineludibile: accanto alla famiglie che restano, ma non fanno figli anche per timore di impoverirsi, ci sono i giovani che emigrano, per trovare lavoro al Nord o all’estero. Una marea silenziosa, un patrimonio di competenze, speranze e vitalità che perdiamo ogni anno perché si riesce a dare risposte ad altre emergenze, quelle ataviche: una offerta di lavoro stabile e dignitosamente retribuito, politiche giovanili e familiari a sostegno di chi sarà chiamato a reggere, sulle proprie spalle, il futuro del territorio.
I dati
L’Istat prevede che, entro il 2050, dal Sud scomparirà una regione grande come la Puglia: ci saranno 3,5 milioni di cittadini in meno. L’andamento è confermato dal rapporto fra nascite e morti da Foggia a Lecce. Nel 2002 il saldo fra i nuovi nati e chi è passato a miglior vita pendeva a favore dei primi, con un +8.302. È rimasto positivo, sebbene decrescente, fino al 2011, quando segnava +304. Poi la rovinosa caduta: se nel 2012 i decessi hanno superato i nati segnando un saldo di -1.695, in appena otto anni il quadro è precipitato fino a un -17.547.
Ancora.
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I numeri sono sotto gli occhi di tutti e tuttavia soltanto ora la politica comincia a parlare di una emergenza da affrontare, indicando soluzioni che altrove, nel resto d’Europa, sono da tempo realtà.
L’assegno unico universale, per esempio, varato quest’anno in Italia e che ancora stenta a decollare; politiche di conciliazione famiglia-lavoro, al Sud pressoché inesistenti; un efficace sistema di politiche attive per il lavoro capace di far incontrare domanda e offerta. Tutto da costruire, perché molto è rimasto sulla carta. Per esempio il Piano per le famiglie varato dalla Regione Puglia nel 2020, in piena pandemia, e già scaduto: l’assessore regionale al Welfare, Rosa Barone, ha garantito che ci si rimetterà all’opera, ma è il tempo il vero nemico da combattere adesso.
I nodi sul tavolo
Per il demografo Alessandro Rosina potrebbero bastare dieci anni a invertire la rotta e raggiungere la media europea di figli per famiglia o addirittura superarla. Ma c’è un “ma”. Servirebbe una volontà politica trasversale, duratura, una visione di lungo periodo che fino a oggi è mancata, trasformando il Sud in un ricovero destinato ai soli anziani e ai pensionati. Nel 2019, infatti, il Governo propose la detassazione delle pensioni a coloro i quali, dall’estero, avessero scelto di trasferire la residenza nei piccoli comuni del Meridione. E i giovani? Non è dato sapere.
Resta tabù anche il tema dell’immigrazione e la possibilità di riconoscere la cittadinanza ai figli dei migranti regolari che vivono in Italia e in Puglia stabilmente da anni. Centinaia di migliaia di bambini e ragazzi (800mila la stima fatta nel corso delle ultime elezioni politiche, ndr) che - è legittimo immaginare - bisognerebbe invogliare a restare, a mettere qui radici e famiglia, piuttosto che farli sentire stranieri a casa loro. La strada, insomma, è lunga: percorrerla al passo veloce di un ragazzo o a quello lento di un anziano è scelta che compete a chi siede sulla tolda di comando.