Meno posti negli asili nido e aumenta la denatalità

Lo dicono i dati pubblicati da diversi studi e diverse fonti a più riprese

Meno posti negli asili nido e aumenta la denatalità
Meno posti negli asili nido e aumenta la denatalità
di Giuseppe ANDRIANI
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Lunedì 24 Aprile 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 06:58

Alla radice del problema: al Sud nascono meno bambini e i ragazzi vanno via perché ci sono meno servizi. Lo dicono i dati pubblicati da diversi studi e diverse fonti a più riprese. E ironia del destino la grande occasione del Pnrr per riequilibrare il numero degli asili nido in Italia è una di quelle per cui il governo ha chiesto all’Unione Europea un confronto per avere tempi meno stringenti (e dilatare i tempi dell’attuale scadenza dal 30 giugno presumibilmente a ottobre). Non una scelta politica, quella dell’esecutivo Meloni - che al contrario pensa a una serie di misure, bonus compresi, per contrastare la denatalità -, ma evidentemente la presa di coscienza che sul tema i Comuni hanno più di qualche difficoltà.

La tendenza


Eppure, è piuttosto univoca la chiave di lettura sul tema della contrazione delle nascite: sarà anche un fattore culturale, ma di sicuro incide la mancanza di servizi adeguati. Avere meno nidi vuol dire avere maggiori difficoltà a conciliare lavoro e vita. Un problema che, è bene ricordarlo, non riguarda soltanto le donne, soprattutto nel contesto attuale. Il welfare gioca una chiave fondamentale nell’incentivo alla natalità. E qui l’Italia ha una serie di scadenze e di impegni presi con l’Unione Europea, al di là del discorso legato al Pnrr.
Ma la situazione, oggi, vede ampi divari territoriali nel numero degli asili nido disponibili. Quel gap che il Pnrr avrebbe dovuto risolvere, anche se secondo alcuni studi avrebbe potuto comunque far poco in regioni come Campania e Sicilia. E la Puglia? È più o meno spaccata in due: nel Sud, tra Lecce e Brindisi, i numeri diventano leggermente migliori, ma nel complesso la disponibilità di posti è piuttosto esigua.

A Bari, ad esempio, c’è posto per 18,9 bambini ogni 100 residenti di età compresa tra zero e due anni. Di fatto, se tutti i genitori volessero iscrivere i propri bimbi al nido, ci sarebbe disponibilità soltanto per due ogni dieci. Lo stesso vale per Foggia (16/100), per la Bat (14/100) e per Taranto (14/100). A Brindisi e Lecce si supera il 20% di posti rispetto ai residenti: rispettivamente 21 e 24. Ma il numero resta piuttosto basso un po’ ovunque. Per dare un’idea: in provincia di Trento, di Parma o di Terni la percentuale di posti coperti si aggira sul 33/40%. Lo stesso discorso vale per una serie di territori del Centro, oltre che del Nord. L’elaborazione di una cartina da questo punto di vista fa emergere un gap territoriale più che evidente.

Il confronto


E lo stesso vale anche per i Comuni che hanno almeno un nido tra i servizi offerti. Succede in due Comuni su tre al Centro-Nord (media nazionale del 59%), a fronte del 46% - di fatto meno di uno su due - del Mezzogiorno, secondo uno studio redatto poche settimane fa da Openpolis. “Le distanze territoriali rimangono profonde”, si legge nello studio. Non è un caso se in alcune province, tutte del Centro-Nord, gli studi dei demografi sottolineano la possibilità di un aumento dei bambini già nei prossimi anni (segno anche di una tendenza non così drammatica come in Puglia nell’ultimo decennio), mentre il Sud - si stima - continuerà a impoverirsi. E il calo demografico apre una serie di questioni, per ora irrisolte: avere meno abitanti vuol dire avere meno fondi da investire in una serie di attività, meno rappresentanti istituzionali. E c’è chi teme persino il default degli atenei entro vent’anni se la situazione non cambierà.
Sul capitolo servizi per l’infanzia, il Pnrr avrebbe dovuto rappresentare la carta per ribaltare il tavolo. La Puglia per finanziamenti legati ai nido ha ottenuto stanziamenti per 268 milioni di euro. Soltanto alla Campania è stata riservata una fetta più grande della torta. Su questo punto, il Piano dell’Unione Europea ha più che rispettato la quota del 40% per il Mezzogiorno, tanto che contando i finanziamenti per i servizi per l’infanzia al Sud andrà il 55% dei fondi. Eppure potrebbe non bastare, dicono gli esperti. E questa sembra essere la grande partita di questi anni: invertire il trend, contrastare il calo demografico e lo spopolamento di un territorio che è sempre più vuoto e sempre più anziano. E per farlo serve investire nei servizi.
 

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