Medici, selezione a due velocità: 108 punti per diventare dermatologo, ma per fare il chirurgo ne bastano 47

Medici, selezione a due velocità: 108 punti per diventare dermatologo, ma per fare il chirurgo ne bastano 47
di Paola ANCORA
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Venerdì 23 Settembre 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 08:23

Per accedere alla scuola di specializzazione in Dermatologia sono serviti 108,75 punti. Il punteggio minimo per iniziare il percorso di formazione a Chirurgia generale è stato 17 e addirittura 14,25 per accedere alla scuola di Medicina d’emergenza e urgenza, ovvero per diventare medico di Pronto soccorso. Sebbene da esso dipendano la salute e la vita dei cittadini, anche il mondo della Medicina risponde, come qualsiasi altro settore, alle regole base dell’economia di mercato sulla domanda e l’offerta: nessuno vuole diventare medico di Pronto soccorso, quindi il punteggio minimo per iniziare il percorso di specializzazione è bassissimo, accessibile dunque a coloro che si sono classificati agli ultimi posti della graduatoria stilata dal ministero dell’Università e della Ricerca fra i 16mila partecipanti agli esami dello scorso luglio. 

Come funziona

Il sistema di selezione e indirizzo dei futuri specialisti alle varie branche della Medicina premia i migliori, aprendo le porte delle specializzazioni più ambite a chi ha punteggi altissimi - per Cardiochirurgia a Roma, per esempio, il punteggio minimo è stato di 106 punti - e abbassando l’asticella per quelle meno gettonate, come Chirurgia, per accedere alla quale sono stati sufficienti 47 punti; solo 26 ne sono serviti per iniziare una carriera da “urgentista”, ovvero da medico di Pronto soccorso. È giusto? È un sistema che funziona, premiando il merito e guardando alle esigenze reali della sanità nazionale e pugliese? 
La premessa, d’obbligo, è che un bravo medico non necessariamente deve eccellere nei test a crocette come quelli somministrati per l’esame di accesso alle scuole di specializzazione, ma lo schema emerso da quella graduatoria rileva, una volta di più, le storture, la sciatteria e la poca lungimiranza di chi, negli ultimi vent’anni, ha pianificato le politiche sanitarie e di formazione nel Paese.

Con il risultato che, dopo una pandemia che ha travolto gli ospedali svuotati di anestesisti e di medici d’emergenza e fatto venire a galla tutte le fragilità di sistema, ci si ritrova a domandarsi come intervenire per correggere la rotta, sapendo tuttavia che i prossimi saranno anni difficilissimi per chi lavora in corsia e per i cittadini.

L'Ordine dei medici

«Chi si iscrive oggi alle specializzazioni sarà pronto fra quattro o cinque anni, ma in questi due che abbiamo davanti centinaia di medici andranno in pensione - spiega Filippo Anelli, presidente dell’Ordine dei medici nazionale e regionale pugliese - e non sapremo come sostituirli. Le correzioni di rotta andavano fatte dieci anni fa. Non a caso avevo proposto al presidente Michele Emiliano di attivare il Consiglio sanitario regionale, istituito nel 2016 e fino a oggi inutilizzato: avrebbe consentito a tutti i rappresentanti delle professioni sanitarie di partecipare alla pianificazione della sanità pugliese, con un contributo efficace, in termini di idee e di prospettiva». Perché il Consiglio non è mai stato attivato? Non è dato sapere.
«I punteggi di accesso alle specializzazioni - prosegue Anelli - possono non dirci nulla, giacché il medico specialista dovrà essere valutato alla fine del percorso formativo e non all’inizio. Ma l’appetibilità di alcuni settori è certamente fortemente in crisi. La Medicina di emergenza determina un carico di lavoro notevole, un’attività usurante che non è riconosciuta dallo Stato: se fosse adeguatamente remunerata avrebbe più appeal perché è quella che realizza pienamente, più delle altre, la passione che caratterizza chi sceglie la professione medica, ovvero salvare vite umane». 
Ancora. «Ci si pone il problema di chi si iscrive alla scuola di specializzazione con 15 o 100 punti e non ci si chiede invece - incalza il presidente dell’Ordine - quali percorsi formativi hanno affrontato i medici stranieri per i quali il Parlamento ha deciso il riconoscimento dei titoli. Di loro non sappiamo nulla: questa è una grande ipocrisia». Per Anelli, qualcosa, sul fronte della carenza di organico negli ospedali, è stata fatta: «Negli ultimi tre anni sono state finanziate 43mila borse di studio per le specialità e non era mai accaduto prima, quando viaggiavamo su una media di 6.000 all’anno». 
E la medicina del territorio, colonna portante della sanità delineata con il Piano nazionale di ripresa e resilienza? Non si sa bene quale tipo di pianificazione si immagini, da questo punto di vista, né a livello nazionale né a livello regionale. Non resta che attendere, e sperare.

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