Distribuire la ricchezza, liberare i tempi di vita e riprendere il controllo delle condizioni di lavoro: sono le priorità elencate da Angelo Salento, professore associato di sociologia economica e del lavoro all'Università del Salento. «Sicuramente - spiega- ci sono più aspetti positivi che deriverebbero da una rimodulazione degli orari lavorativi: primo fra tutti un incremento di benessere e una vita più ricca sotto tutti gli aspetti».
Professor Salento, quanto la riduzione delle ore lavorative può incidere a livello socio-economico?
«Le ricadute sociali immediate sono molteplici: sicuramente intanto dividere il mercato esistente, frazionando il numero di ore, vuol dire incrementare l'occupazione, naturalmente a parità di salario.
Ad un certo punto avevamo pensato che l'automazione e la digitalizzazione avrebbero aiutato a raggiungere questo risultato.
«Così non è stato, anzi, al contrario, la digitalizzazione e l'automazione si sono trasformate solo in una fonte di profitto, non in una riduzione della forza lavoro e neanche del carico sui lavoratori; invece che dividere il tempo guadagnato con la tecnologia lo si è concentrato poche persone. Dagli anni Ottanta in poi il mercato del lavoro è peggiorato sia dal punto di vista economico che qualitativamente. Occorre che i Governi riprendano in mano il controllo delle condizioni lavorative».
In che modo è possibile finanziare una simile rimodulazione? Quali sono i principali ostacoli?
«Spesso si è portati a pensare che la soluzione sia abbassare la pressione fiscale e contributiva delle imprese, ma è una finta soluzione perché questo vorrebbe dire meno gettito fiscale: ciò che si sconta alle aziende viene tolto a strade, ospedali, scuole. Non si può governare solo con gli incentivi; questi ultimi vanno bene in via eccezionale non come prassi».
E qual è la soluzione?
«Bisogna prendere la responsabilità delle decisioni, agendo per il bene non di pochi ma di tutti: invertire la rotta e ridistribuire la ricchezza tassando gli extra profitti e le rendite. Dagli anni 80 si è assistito ad una graduale riduzione dei salari tra il 15 e il 18%, soldi che, insieme alla ricchezza acquisita con l'automazione, sono finiti nei profitti delle imprese. Questo meccanismo inoltre genera una situazione stagnante: non ci sono soldi da spendere e l'economia rallenta».
R.D.B.
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