Lavoro, riduzione degli orari: «La pandemia ha fatto capire l'importanza dei tempi di vita»

Angelo Salento, sociologo
Angelo Salento, sociologo
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Domenica 5 Giugno 2022, 12:20 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 20:21

Distribuire la ricchezza, liberare i tempi di vita e riprendere il controllo delle condizioni di lavoro: sono le priorità elencate da Angelo Salento, professore associato di sociologia economica e del lavoro all'Università del Salento. «Sicuramente - spiega- ci sono più aspetti positivi che deriverebbero da una rimodulazione degli orari lavorativi: primo fra tutti un incremento di benessere e una vita più ricca sotto tutti gli aspetti».


Professor Salento, quanto la riduzione delle ore lavorative può incidere a livello socio-economico?
«Le ricadute sociali immediate sono molteplici: sicuramente intanto dividere il mercato esistente, frazionando il numero di ore, vuol dire incrementare l'occupazione, naturalmente a parità di salario.

Poi occorre puntare il focus sull'importanza del liberare la vita dalla trazione dell'impegno lavorativo che spesso ne occupa la parte più rilevante. La pandemia, con lo smart working e l'attività sulle piattaforme digitali, ad esempio, ha fatto comprendere quanto sia importante il diritto alla disconnessione e la giusta demarcazione tra vita e impiego. Il lavoro è certamente uno strumento di integrazione sociale insostituibile, ma liberare i tempi di vita dall'attività lavorativa vuol dire avere spazio da dedicare alle attività riproduttive: la famiglia, attività culturali, formazione personale, relazioni, fruizione dei beni pubblici, cura di se e degli altri».


Ad un certo punto avevamo pensato che l'automazione e la digitalizzazione avrebbero aiutato a raggiungere questo risultato.
«Così non è stato, anzi, al contrario, la digitalizzazione e l'automazione si sono trasformate solo in una fonte di profitto, non in una riduzione della forza lavoro e neanche del carico sui lavoratori; invece che dividere il tempo guadagnato con la tecnologia lo si è concentrato poche persone. Dagli anni Ottanta in poi il mercato del lavoro è peggiorato sia dal punto di vista economico che qualitativamente. Occorre che i Governi riprendano in mano il controllo delle condizioni lavorative».
In che modo è possibile finanziare una simile rimodulazione? Quali sono i principali ostacoli?
«Spesso si è portati a pensare che la soluzione sia abbassare la pressione fiscale e contributiva delle imprese, ma è una finta soluzione perché questo vorrebbe dire meno gettito fiscale: ciò che si sconta alle aziende viene tolto a strade, ospedali, scuole. Non si può governare solo con gli incentivi; questi ultimi vanno bene in via eccezionale non come prassi».
E qual è la soluzione?
«Bisogna prendere la responsabilità delle decisioni, agendo per il bene non di pochi ma di tutti: invertire la rotta e ridistribuire la ricchezza tassando gli extra profitti e le rendite. Dagli anni 80 si è assistito ad una graduale riduzione dei salari tra il 15 e il 18%, soldi che, insieme alla ricchezza acquisita con l'automazione, sono finiti nei profitti delle imprese. Questo meccanismo inoltre genera una situazione stagnante: non ci sono soldi da spendere e l'economia rallenta».
R.D.B.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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