Lavoro, orari ridotti: «È una soluzione concreta al problema occupazionale»

Salvatore Rizzello, docente Economia politica
Salvatore Rizzello, docente Economia politica
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Domenica 5 Giugno 2022, 11:57 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 20:21

Crescita sociale, formazione ad un consumo culturale e intellettivo, recupero della propria libertà e miglioramento della personale relazione con il mondo. Sono alcuni degli effetti positivi che potrebbe innescare un sistema di riduzione dell'orario lavorativo con una settimana a 4 giorni. Oltre alle evidenti ricadute occupazionali e sull'economia, in particolare per i settori dei servizi e della ricreatività, come il turismo o quello della cultura. Non ha dubbi a riguardo Salvatore Rizzello, professore ordinario di economia politica di Unisalento.
Professor Rizzello, partiamo dalla riflessione di Durante: in che senso la riduzione dell'orario di lavoro è un'opportunità economico-sociale?
«Questo libro ha il merito di rimettere al centro del dibattito la centralità del tema del lavoro in senso lato, anche dal punto di vista dell'inoccupazione e della precarizzazione. E lo fa con un tema che negli ultimi anni è andato sottotraccia: la riduzione delle ore lavorative che in Italia non viene affrontata. La parte più interessante della riflessione è quella sul concetto di libertà. Negli ultimi decenni a causa di salari molto bassi in tanti si sono trovati costretti a lavorare di più per vivere dignitosamente: riduzione delle ore non significa solo ambire ad un sistema produttivo migliore, sarebbe riduttivo; è invece è una opportunità per riuscire ad usufruire di altri tipi di consumo, non ripetitivo, culturale, intellettivo, ricreativo, un consumo del tempo libero che apra a nuove visioni e arricchisca».


Può essere una risposta al tema della disoccupazione crescente?
«Assolutamente sì. Se si lavora meno c'è più spazio per tutti, e ovviamente deve essere fatto a parità di salario. In questo modo si ha più tempo da dedicare ad altro, si crea benessere, c'è un incremento della produttività anche in altri settori. Pensiamo ai viaggi, al turismo. Fruire del proprio tempo è un modo per rimettere in circolo tutto. Non si ha quindi una ricchezza inerte ma si innesca un meccanismo virtuoso che aumenta i consumi, amplia i posti di lavoro, migliora le condizioni di vita».
Quali sono i principali ostacoli a questo percorso in Italia?
«La questione va affrontata a livello sistemico, servono incentivi alle imprese, investimenti nel lavoro, formazione e creazione di posti di lavoro che richiedano competenze specifiche.

Per avviare questo percorso si potrebbero usare i fondi del Pnrr. Siamo di fronte ad una svolta epocale: si deve avere la capacità di capire che la liberazione dal lavoro deve portare ad un miglioramento della capacità di ognuno di relazionarsi con il mondo. Occorre affrontare due aspetti fondamentali: la diminuzione delle ore e l'aumento dei salari. Ed è necessario redistribuire la ricchezza. Quando è stato fatto questo si è avuto il maggiore benessere. Nel nostro paese però c'è anche un altro problema: molte industrie hanno acquisito una dimensione sovrannazionale e i livelli di contrattazione sono sempre più parcellizzati».

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