La nuova sfida per i giovani: lavorare meno, lavorare tutti

La nuova sfida per i giovani: lavorare meno, lavorare tutti
di Rita DE BERNART
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Domenica 5 Giugno 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 20:21

Lavorare meno per vivere meglio e riappropriarsi della propria libertà e di spazi vitali in cui praticare la cultura del benessere psico-fisico. Ma anche per lavorare tutti e produrre di più. Può il XXI essere il tempo dei quattro giorni e delle trentadue ore di lavoro a settimana? La riflessione è affrontata nel libro di Fausto Durante dal titolo “Lavorare meno, vivere meglio” che prova a dare una risposta: la riduzione dell’orario lavorativo è descritta come opportunità di sviluppo sociale ed economico. Il superlavoro, spiega Durante nel suo libro, interessa 500 milioni di lavoratori nel mondo, ossia il 15 per cento della forza lavoro mondiale; mentre sono attribuibili allo stress causato dal superlavoro circa 750mila decessi per ictus e infarto nel 2016 (dati dell’Organizzazione internazionale del lavoro).

LA RIFLESSIONE

Ed in effetti in alcuni paesi nord europei, ma anche in Giappone, la settimana corta è già una realtà sperimentata i cui benefici sul tessuto economico e sociale, nei livelli occupazionali e nella produttività sono accertati e riconosciuti. In altri, come la Spagna, la questione è approdata in un summit internazionale. Il tema è tornato quindi, dopo anni di silenzio, prepotentemente al centro del dibattito pubblico: un meccanismo innescato in particolare con la pandemia che ha messo in evidenza questa l’esigenza di conciliare l’attività lavorativa con i tempi della propria libertà e vita privata e ribaltato le priorità. Non solo un sacrosanto diritto alla disconnessione, dunque, ma anche una sostenibilità dei ritmi lavorativi a più livelli. E non sembra un caso infatti che proprio negli ultimi due anni sempre più persone abbiano fatto scelte radicali abbandonando persino un posto di lavoro sicuro o rinunciando al posto fisso. I dati, diffusi nel rapporto del ministero del lavoro e delle politiche sociali parlano chiaro: solo nel 2021 in Puglia si sono dimessi volontariamente quasi 95mila lavoratori, con un aumento percentuale del 30,6% rispetto al 2021. Con un totale di oltre 1 milione e 51mila rapporti di lavoro cessati la regione è terza in Italia dopo Lazio e Lombardia. Ma dimettersi e lasciare il contratto a tempo indeterminato per cercare cosa? Gratificazione, attività più appaganti, serenità, ritmi meno pressanti e tempo, soprattutto, per vivere. «Se avessi potuto dare un titolo più lungo avrei scritto Lavorare meno, lavorare tutti, vivere meglio», spiega Fausto Durante, già segretario generale della Fiom di Lecce dal 1993 al 2000, successivamente coordinatore dell’Area politiche europee e internazionali della Cgil nazionale e da giugno 2019 coordinatore della Consulta delle politiche industriali della Cgil. «Tutti gli esperti che stanno ragionando sul rapporto vita-impresa-capitale-società- dice Durante – vedono nella riduzione dell’orario di lavoro la soluzione per migliorare questa relazione.

Ogni volta che nella storia si sono applicati processi di riduzione dell’orario di lavoro ci sono state conseguenze positive sulle imprese. Le ricadute positive inoltre si avrebbero in particolare sulla condizione delle donne, non più costrette a part time forzati, e all’occupazione giovanile. In Francia ad esempio con l’applicazione della settimana a 4 giorni in 5 anni sono creati 300mila posti di lavoro che non esistevano di cui il 60% per giovani al di sotto dei 30 anni. In Italia però c’è una sorta di tabù psicologico; si lavora molte più ore che in Francia e Germania ma non si può certo dire di avere maggiore produttività».

IL SINDACATO


Sulla stessa linea Valentina Fragassi, segretaria Cgil Salento. «La riduzione dell’orario di lavoro – commenta - è una tendenza di lungo periodo in tutti i sistemi industriali. Ed è una misura che nei decenni ha permesso di migliorare le condizioni di lavoro e la sua qualità, aumentando tra l’altro la produttività. Questa tendenza del sistema industriale non è più assecondata dai governi. Almeno non da quello italiano. Lo stesso legame tra crescita e progresso si è spezzato: oggi la tendenza è quella di accontentare la classe imprenditoriale, riducendo il costo del lavoro, come se fosse questo l’unico problema dell’economia nazionale. Altrove il tema della riduzione dell’orario è di attualità. Questo strumento inoltre potrebbe essere una risposta alla disoccupazione soprattutto nei settori in cui l’automazione è meno pressante».

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