Coronavirus/«Io, ricercatrice salentina al Sacco ancora senza una stabilità economica»

Coronavirus/«Io, ricercatrice salentina al Sacco ancora senza una stabilità economica»
di Maurizio TARANTINO
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Domenica 1 Marzo 2020, 11:31 - Ultimo aggiornamento: 3 Marzo, 09:25

L'amore per questo lavoro è più grande di ogni sacrificio, ma sogno la stabilità economica». Arianna Gabrieli è una ricercatrice 37enne dell'ospedale Sacco di Milano, originaria di Galatina e anche oggi sarà in laboratorio per continuare i suoi studi sul coronavirus. Nei giorni scorsi, infatti, la sua equipe è riuscita ad isolare il ceppo italiano del morbo con un lavoro riconosciuto a livello mondiale, nonostante il suo stipendio non superi i 29mila euro lordi all'anno, circa 1.400 euro al mese. Una scoperta che consentirà di seguire le sequenze molecolari e tracciare ogni singolo virus per capire cos'è successo, come ha fatto a circolare e in quanto tempo e soprattutto che cosa lo differenzia dal virus isolato alla Spallanzani. Il passo successivo sarà quello di studiare lo sviluppo di anticorpi e quindi di vaccini e di cure da parte dei laboratori farmaceutici.



Dottoressa Gabrieli, la diffusione di questa infezione ha riportato l'attenzione sul precariato delle eccellenze italiane, in particolare quelle in ambito scientifico.
«Chi fa ricerca in Italia sa che dovrà affrontare un percorso non facile, che difficilmente culminerà nell'assunzione a tempo indeterminato. È una nota dolente, perché da parte nostra ci mettiamo tanta dedizione, ma non c'è la giusta riconoscenza. I contratti durano un anno e, da parte nostra c'è l'ansia del continuo rinnovo. Io sono al Sacco dal 2016 e non posso nascondere che, pur essendo in un'istituzione prestigiosa, sono preoccupata. Possono finire i fondi e ci ritroviamo in mezzo alla strada. Veniamo pagati dalla struttura e dal primario e non dall'ospedale. Io sono una libera professionista che ha la sua partita iva con tutto quello che comporta. Trascorriamo al lavoro anche 12 ore al giorno, in particolare in questo periodo di grande emergenza e non guardiamo alla nostra vita privata, pur di ottenere i risultati utili alla ricerca. È ovvio che bisogna amare tanto questo lavoro, altrimenti non sarebbe possibile».
Con queste premesse, un futuro per i giovani salentini diventa impossibile.
«Direi proprio di sì. Le eccellenze ovviamente ci sono, ma mancano le strutture, gli investimenti non vengono fatti. Mi sono specializzata a Roma e poi ho avuto varie esperienze fino a quando non sono arrivata a Milano. Sono partita dal Salento con la precisa volontà di fare ricerca, già sapendo che difficilmente sarei ritornata. Volevo lavorare nel settore della biologia. E quello è stato il mio obiettivo. Ma è l'intera condizione dei lavoratori che operano nel mondo scientifico ad essere deficitaria. Quando ho deciso di fare la triennale, volevo fare la ricerca. I momenti di sconforto ci sono, in particolare quando arriva la scadenza del contratto. E vivere a Milano con circa 1.400 euro non è semplice, i costi sono tanti e si arriva a fatica a fine mese. Si sopravvive, non possiamo fare altro».
Il lavoro dell'equipe del Sacco è stato molto lodato. Cosa comporterà per la ricerca sul contagio?
«Prima di noi hanno isolato questo virus chiaramente in Cina perché l'origine è stata lì. Anche allo Spallanzani hanno ottenuto lo stesso risultato. Noi lo abbiamo isolato da quattro pazienti provenienti da Codogno, quello che è il focolaio italiano principale dell'infezione. Dopo averlo isolato, adesso lo stiamo coltivando, dopo andrà fatta una caratterizzazione del virus per capire come evolve e aspettare che le aziende farmaceutiche mettano appunto un vaccino, quindi andranno testati i farmaci. I risultati ottenuti possono velocizzare il processo per mettere a punto un farmaco, ma non sappiamo che tipo di caratteristiche ha il virus, visto che non è mai stato isolato prima. Le prossime settimane saranno cruciali per capire cosa stiamo combattendo».
Nei giorni scorsi il mondo scientifico si è diviso, da un lato Roberto Burioni dall'altro la dottoressa Maria Rita Gismondo, direttrice del laboratorio delle biomergenze dell'ospedale dove lei lavora, sulla pericolosità dell'infezione. Cosa ne pensa?
«Non voglio entrare in questa polemica, sono una biologa. L'unica cosa che mi sento di dire è che non ci troviamo di fronte ad una semplice influenza proprio perché non la conosciamo affatto. Si spera che col passare dei giorni vadano diminuendo il numero dei contagi. Da quello che posso vedere I medici stanno facendo un lavoro ottimo per risolvere il problema. Ora speriamo che la situazione vada migliorando: il vaccino sarà il punto di svolta».
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