L'intervista a Stefano, il marito della bracciante Paola Clemente morta nelle campagne nel 2015: «Basta omertà, si denuncino i caporali e gli sfruttatori»

L'intervista a Stefano, il marito della bracciante Paola Clemente morta nel 2015: «Basta omertà, si denuncino i caporali e gli sfruttatori»
L'intervista a Stefano, il marito della bracciante Paola Clemente morta nel 2015: «Basta omertà, si denuncino i caporali e gli sfruttatori»
di Alessio PIGNATELLI
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Domenica 27 Giugno 2021, 05:00

«Rabbia? Sì e no. Dico che prevale in me una speranza: quella che i caporali si redimano, quello che fanno questi lavoratori è inconcepibile. Non provo odio però mi auguro che, anche dopo gli ultimi drammatici episodi, abbiano un po’ più di rispetto nei confronti dell’essere umano. Dico semplicemente questo».

Stefano Arcuri, oggi 67enne, nelle ultime ore ha dovuto rivivere quei momenti dolorosi del 2015. I recenti avvenimenti in Puglia - tre vittime per il caldo e la fatica tra i lavoratori (leggi qui) - gli hanno riaperto la sua ferita più grande: sua moglie Paola Clemente era la bracciante di San Giorgio Jonico in provincia di Taranto che morì in un vigneto di Andria nell’assolato 13 luglio 2015. Paola stava “facendo gli acinini”, un’operazione nota nelle campagne pugliesi: nel periodo antecedente il taglio dell’uva, diverse persone - nella stragrande maggioranza donne - sono ingaggiate per “ripulire” dagli acini più piccoli i grappoli che poi saranno venduti. Significa cioè lavorare sotto i tendoni a temperature elevatissime. Il caporalato, forma di reclutamento e organizzazione della mano d’opera che soprattutto nell’agricoltura trova terreno fertile, con la Legge 199 del 2016 è penalmente perseguibile: ancora troppi, però, i casi e le storture di un sistema che non tutela l’ultimo ingranaggio della catena. La giustizia, nel caso di Paola, deve ancora fare il suo corso. Da ieri, un’ordinanza del presidente Emiliano (qui gli approndimenti) dispone il divieto di lavorare “in condizioni di esposizione prolungata al sole, dalle ore 12.30 alle ore 16 fino al 31 agosto 2021” nel settore agricolo limitatamente ad alcune condizioni.

Stefano, lei non si è mai arreso: dopo gli ultimi drammatici casi, c’è un nuovo provvedimento del presidente Emiliano.

Può essere un segnale?

«Vedo che purtroppo la situazione non è cambiata più di tanto, ci vorrebbero più controlli. Fatta la legge, non è che si risolve il problema. Se ci si alza alle 3 del mattino, ogni giorno c’è questo via vai, questo sfruttamento e lo apprendiamo anche dai media molto spesso. La svolta deve essere nella mentalità».

In quale maniera?

«Quando succedono queste cose, i famigliari devono denunciare altrimenti si ripeteranno sempre. Ho sentito anche di persone che hanno accettato i soldi dai caporali per risarcimento ma per debellare questa piaga bisogna sconfiggere l’omertà».

Lei lo ha fatto andando oltre ogni ostacolo.

«Ho 67 anni, sono passati sei anni dalla morte di mia moglie ma il ricordo è vivo. Io fui costretto a fare un esposto in Procura perché mia moglie stava bene. Ho voluto scoprire la causa di quell’infarto: dall’autopsia, la vena aorta era pulitissima. Ci dissero di una sofferenza da ipertensione e una familiarità alla cardiopatia ischemica ma quella malformazione in 49 anni non era mai emersa. Mai. Poi, ricordo ancora che successe una cosa strana».

Cioè?

«Un mese dopo la morte di Paola, l’Inail ci mandò una lettera per dirci che l’infarto non rientrava nelle malattie professionali. Eravamo ancora immersi nel dolore e non avevamo nemmeno pensato di intraprendere qualche iniziativa. Insomma, sembrò quasi che ci vollero stoppare. Poi mi informai, vidi che a Torino un caso in Cassazione aveva dato esito diverso. Non so cosa succederà ma so solo che la vita in campagna è dura, non mi vengano a dire che è una passeggiata. Mia moglie mi diceva che aveva i brividi di freddo quando usciva dal tendone: fuori c’erano 45 gradi, dentro 55. C’era una differenza di dieci gradi».

Qualche tempo fa disse che i suoi figli avevano “difficoltà a trovare lavoro e temo che sia anche per il coraggio della nostra denuncia”: è cambiato qualcosa?

«No i miei figli non sono occupati a parte uno che aveva già il lavoro prima dell’incidente di mia moglie. Sono in casa con me».

Si aspettava qualche aiuto più concreto in questi anni?

«Il sindacato mi è stato molto vicino, in particolare la Cgil. Le istituzioni hanno intitolato la camera dei Ministri del ministero dell’Agricoltura a Paola, so che le hanno dedicato una borsa di studio ma niente altro. Il mio auspicio è che la Regione Puglia si costituisca parte civile nel processo per Paola, penso che possa essere un segnale importante».

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