L'intervista/Dario Stefano (Pd): «Fare marcia indietro è del tutto inopportuno»

L'intervista/Dario Stefano (Pd): «Fare marcia indietro è del tutto inopportuno»
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Mercoledì 1 Giugno 2022, 14:39 - Ultimo aggiornamento: 16:07

«Appare ora del tutto inopportuno fare marcia indietro e abolire del tutto una legge, che per le cariche nazionali da un lato dà attuazione all'articolo 54 della Costituzione, vale a dire il dovere di adempiere all'affidamento di funzioni pubbliche con disciplina e onore, e dall'altro lato è pienamente rispettosa dell'articolo 27 della Costituzione, ossia la presunzione di innocenza fino a condanna definitiva». Il senatore del Pd Dario Stefàno spiega le ragioni del No al primo quesito referendario, quello relativo all'abolizione della legge Severino. Ma con alcune modifiche mirate.
Senatore Stefàno, perché a suo giudizio la legge va mantenuta così com'è?
«È incontestabile l'opportunità di mantenere una normativa che ha inteso far convergere anche il nostro Paese su rigorosi standard, comuni alle altre principali democrazie. La legge è rispettosa della presunzione di innocenza fino a condanna definitiva, e al tempo stesso del dovere di adempiere all'affidamento di funzioni pubbliche con disciplina e onore».
C'è chi parla di una presunta incostituzionalità della legge.
«Sono argomentazioni incomprensibili alla luce di due recenti pronunzie della Corte europea, che ha avuto modo di ribadire la perfetta compatibilità della legge Severino con la Convenzione europea, sancendone la piena compatibilità e coerenza. A ciò si aggiunga che comunque più volte la Corte costituzionale italiana ha sancito la legittimità costituzionale della normativa riguardante gli amministratori locali, che pur prevede conseguenze già in esito a provvedimenti cautelari o sentenze di condanna non definitive. E introduco una riflessione più ampia sulla Legge».
Ossia?
«Io credo che la legge del 2012 abbia profondamente cambiato la cultura politica di questi anni, ed abbia introdotto una sensibilità e una cura morale di cui avevamo profondamente bisogno. Il sistema punitivo tradizionale si sottrae ad una riflessione etica che invece la legge del 2012 introduce con rinnovato vigore. Quelle previste dalla legge Severino non sono sanzioni penali, sì certo si legano alla commissione di un fatto di reato, ma da questa commissione trae origine una riflessione sulla condotta morale del candidato e dalla idea che l'addebito di un reato possa incrinare la fiducia dei cittadini e suggerire la sospensione del diritto elettorale in nome di una istanza eticizzante, che in verità dovrebbe appartenere, prima ancora che al sistema, alla coscienza individuale del singolo candidato, capace per ciò solo - come in altre culture e sensibilità - di fare un passo indietro e farsi da parte. In questo senso mi viene alla mente Platone: Chi non ha un padrone dentro di sé è bene che abbia fuori». Quindi a suo avviso dovrebbe restare così com'è?
«Semmai in quella Legge appaiono problematiche, salvo che per i delitti di particolare allarme sociale, le disposizioni che prevedono la sospensione di amministratori regionali e locali a seguito di sentenze non definitive e dunque suscettibili di cambiamento nel corso dell'iter processuale. In tali casi, risulta opportuno un nuovo bilanciamento che rispetti parimenti le esigenze di legalità e il principio di garanzia costituzionale di cui all'articolo 27 della Costituzione, ma anche di salvaguardia dell’efficienza e della stabilità delle amministrazioni. Ma c’è già un ddl incardinato in Senato che punta a risolvere tali disomogeneità. Insomma, basta una modifica mirata alla norma: non si può intervenire con l’accetta buttando il bambino con l’acqua sporca».
Qual è allora, dal suo punto di vista, il problema da porsi?
«Il punto è quale sia il giusto equilibrio fra l'indubbio sacrificio di un diritto personalissimo, quale quello elettorale, e la salvaguardia di valori morali che  guidano la scelta della incandidabilità o della decadenza per ragioni di giustizia punitiva. Il tema è complesso e credo che meriti una riflessione, anche per evitare che il sacrificio elettorale sia poi reso vano all'esito di un giudizio di secondo grado di tipo assolutorio».
Re.Att.
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