Casini: nel nostro dna l'anima democristiana e il "sovranismo Ue"

Casini: nel nostro dna l'anima democristiana e il "sovranismo Ue"
di Francesco G. GIOFFREDI
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Giovedì 11 Maggio 2023, 07:34 - Ultimo aggiornamento: 16:53


Pier Ferdinando Casini, già presidente della Camera e oggi senatore eletto col Pd: sfogliando il suo libro "C'era una volta la politica. Parla l'ultimo democristiano", viene da chiedersi se è ancora viva una "cultura democristiana" in senso stretto, o se è ormai un ingiallito retaggio del passato. Il compromesso come segno distintivo, il cosiddetto "estremismo di centro", e poi la politica nel senso più classico e complesso: niente più?
«Coltivare la memoria aiuta ad avere radici solide. Ed è fondamentale per evitare di ripetere gli errori del passato. A parole sì: quella democristiana è una cultura ancora in uso. Nei fatti molto meno. Per esempio: sul terreno delle riforme, porterebbe a una conseguenza inevitabile, e cioè che le riforme istituzionali si possono realizzare solo insieme. Sono materia indisponibile per la maggioranza: c'è stato sempre un patto implicito, che ha trovato nella Costituzione un minimo comune denominatore».


La prima scintilla politica scoccò al liceo. Fu lì, ricorda nel libro, che provò a smarcarsi da subito dagli opposti estremismi. Il tema delle radicalità politiche è ancora attuale?
«All'epoca nel mondo giovanile c'era più vivacità politica e i movimenti giovanili dei partiti di estrema destra ed estrema sinistra erano molto ben organizzati. Ora quel fenomeno non c'è più, e nella stessa politica le posizioni particolarmente radicalizzate sono di fatto venute meno. Anzi, in molti casi le posizioni si sono avvicinate».


Cambiano pure le linee di demarcazione che determinano intese, prossimità e rotture.
«Le faccio un esempio: la scelta europea e quella atlantica sono state portate avanti dalla Dc a maggioranza e con opposizioni enormi, e poi negli anni sono diventate patrimonio comune. Nel dna della Repubblica europeismo e atlantismo sono scelte ormai acquisite».


Anche l'invasione russa in Ucraina ha ridefinito lo scenario e avvicinato forze politiche tra loro contrapposte.
«Nella storia, da un male può nascere un quasi bene, in questo caso l'unità dell'Occidente. La scelta di sostenere l'Ucraina è stata votata quasi all'unanimità dal Parlamento: un segnale positivo e coerente con quanto dicevo prima».


La divisione destra-sinistra non è più l'unica a definire il quadro: sovranismo e anti-sovranismo o apertura-chiusura sono nuovi parametri di riferimento delle identità. È così?
«Una certa idea di sovranismo anticapitalista è comune sia a sinistra che a destra. E certi istinti nazionalisti si ritrovano nei movimenti estremi degli uni e degli altri. Io sono sovranista, ma europeo: oggi è impossibile pensare a un'autosufficienza degli Stati, in un mondo globalizzato e di competizione tra giganti».


Ma c'è spazio in Italia per un soggetto politico centrista, al di là dei tentativi per ora tramontati di Terzo polo? O la prospettiva è quella di un bipolarismo?
«Per ora non vedo un bipolarismo. Lo spazio centrista teoricamente c'è, ma non esistono più rendite di posizione: ci vuole una proposta politica convincente. Certamente quella centrista non è un'opinione maggioritaria, ma rilevante. Probabilmente in grado di determinare le vittorie e le sconfitte degli schieramenti in campo».


Lei è stato eletto da indipendente nelle liste Pd, non è un tesserato, ma è iscritto al gruppo parlamentare. Si sente parte integrante di questo centrosinistra?
«Ho un'altra storia. Rispetto molto il centrosinistra, ma è giusto che siano loro a fare le proposte politiche: non è il mio ruolo».


L'antipolitica ormai è un ombrello concettuale sotto il quale proviamo a raccogliere un po' tutto.
«Nell'epoca di Grillo ha avuto un confine chiaro: è stata l'idea che la competenza, la professionalità, la formazione politica, i partiti non servissero a nulla. Quando l'antipolitica ha vinto le elezioni, si è capito quanti danni fa il dilettantismo e quanto sia viceversa necessaria una buona politica. La stessa conversione negli anni del M5s ne è la prova: dagli slogan alla difficile costruzione di un partito. Loro stessi hanno alzato bandiera bianca, quasi normalizzandosi».


Ma nelle leadership di Meloni e Schlein non vede un ritorno alla politica?
«Le loro leadership vengono dopo governi tecnici. Meloni non è il mio presidente del Consiglio preferito, non l'ho votata e non la voto in Parlamento. Ma ha ottenuto il consenso della maggioranza degli italiani, e in questo senso la rispetto. La politica ha ripreso il sopravvento, ed è positivo: i governi tecnici sono del resto come degli antibiotici, è consigliabile prenderli il meno possibile, in alcune circostanze sono fondamentali, ma in caso di abuso si perdono le difese immunitarie. È importante che, ora, la politica abbia riconquistato il centro della scena. Anche Schlein è una politica, ha una storia nelle istituzioni e di vera militanza.

E che quella militanza sia stata fuori dal Pd, dimostra che la leadership del partito è contendibile: un elemento positivo».


E nella sua lunga militanza qual è stato il momento che ricorda con maggior piacere?
«Ho avuto molte soddisfazioni e non tantissime amarezze. Non voglio fare graduatorie, ma quando ho ricevuto da presidente della Camera Giovanni Paolo II in Parlamento è stato il momento più emozionante e più significativo della mia vita pubblica».


Cosa sono destinati a diventare centrosinistra e centrodestra?
«Dobbiamo essere speranzosi. Devono diventare due contenitori importanti con capacità di esprimere buona politica. A cominciare dalle riforme costituzionali: auspico una contesa limpida tra protagonisti che si rispettano. Un punto fondamentale è non considerare mai un avversario politico come un nemico. Ecco, un altro momento che ricorderò sempre è il lungo e caloroso applauso dell'aula nel gennaio dello scorso anno, anche di colleghi politicamente distanti (Ndr: Casini era stato proposto come candidato Presidente della Repubblica, ma davanti alla situazione di stallo chiese di non essere votato): era il segno di un rispetto, dopo aver seminato bene».


Lo spostamento dell'asse del centrodestra verso destra la preoccupa?
«A me non piacciono gli allarmi democratici, hanno senso solo quando vale la pena lanciarli. Ma ho molte perplessità, ed è un eufemismo, su come stanno gestendo il Paese da destra: non credo abbiano le idee chiare e su tante cose procedono con un certo tasso di pressapochismo e confusione. Ma hanno vinto, ora governino, anche con l'onere di non deludere i loro elettori».


E il centrosinistra a trazione Schlein obbligherà moderati e riformisti alla marginalità? Il Pd, fin qui, si è caratterizzato come il partito della responsabilità e "di sistema".
«Bisogna rispettare scelte molto dolorose fatte dal Pd, come il sostegno ai governi tecnici, ed evitare di banalizzarle. Schlein dovrebbe tenere conto dei tanti moderati che danno segni di inquietudine. Ma non voglio dare consigli non richiesti».


La giustizia in Italia si è spesso ritrovata a esercitare un ruolo di supplenza della politica. Lei nel libro usa la metafora del pendolo, che prima o poi dovrebbe trovare un equilibrio. Anche nelle riforme.
«C'è stata una supplenza della giustizia che ha finito per essere controproducente per gli stessi magistrati, basti pensare al livello di impopolarità registrato in tutti i sondaggi. Ciascuno deve fare il proprio dovere: la politica non deve subire supplenze improprie, ma deve rispettare l'autonomia della magistratura. Penso al tema delle intercettazioni: va limitata l'utilizzazione e la divulgazione di quelle che consentono di sbattere il mostro in prima pagina utilizzando colloqui su materie del tutto estranee alle indagini; ma per quanto riguarda la lotta contro la criminalità l'intercettazione è strumento fondamentale e sarebbe un errore privarsene».


Sul versante dei diritti civili l'equilibrio è sempre sottile, in bilico tra ideologie e sensibilità personali. Lei, per esempio, ha votato per le unioni civili e ha sempre spinto per Ius soli e Ius scholae.
«Nel campo dei diritti non c'è solo una difficoltà di comprensione tra destra e sinistra, ma anche una sensibilità diversa tra generazioni. Me ne accorgo quando ne parlo con i miei figli. Ci vuole grande attenzione a forme nuove di affettività, ma sono contrario alla fecondazione eterologa».


Per il Sud è l'eterno ritorno: i divari, le risorse, la capacità di spesa. Il Pnrr è un'opportunità, ma i rischi di ritardi e dispersioni non sfuggono. Su questo fronte è impegnato il ministro Fitto: condivide la strategia di concentrare e coordinare dal centro tutte le risorse? I governatori del Sud temono che possa venire meno il vincolo della territorialità.
«Certamente sarebbe preferibile una gestione autonoma delle Regioni, ma poiché la spesa si è spesso arenata davanti a troppi ritardi, capisco che in un momento come questo e col rischio di non spendere si sia arrivati a forme di accentramento. È un male forse inevitabile».


Presidente Casini, domani torna a Lecce: è l'occasione per salutare un po' di amici.
«Sono contento di presentare il libro a Lecce. Non dimentico di essere stato eletto, anche grazie al grande sostegno di Fitto, nel collegio di Maglie. Sono molto affezionato al Salento, i miei figli sono cresciuti sulle spiagge di Serra Alimini. E sono contento domani di confrontarmi con tre persone così significative. Fitto è un amico, è la persona che stimo di più in questo governo e che esprime grande qualità, in Europa ha aperto la strada dei Conservatori a Meloni e le ha fatto un grande favore. L'incontro poi è organizzato da Stefàno, una delle persone più competenti soprattutto nel campo delle politiche agricole, turistiche e imprenditoriali. E infine ci sarà Bertinotti, mio successore alla Camera e uomo di grande intellettualità».

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