Il futuro dell'Ex Ilva, Palombella (Uil): «Cacciare Mittal a ogni costo, altre soluzioni fallimentari»

Il futuro dell'Ex Ilva, Palombella (Uil): «Cacciare Mittal a ogni costo, altre soluzioni fallimentari»
di Domenico PALMIOTTI
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Lunedì 21 Novembre 2022, 05:05 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 03:05

«Né riequilibrio dei rapporti tra Invitalia e Mittal, né rinegoziazione dei ruoli. Al punto gravissimo in cui è l’ex Ilva, occorre essere più drastici. Risoluti. Bisogna mandare via Mittal, cacciarlo definitivamente dalla gestione del gruppo». Nel giorno in cui i lavoratori di Acciaierie d’Italia si fermano per gli scioperi indetti singolarmente da Fim, Fiom e Uilm e dall’Usb (24 ore di astensione a Taranto a partire dalle 7 di oggi, 4 ore, invece, negli altri siti siderurgici), Rocco Palombella, segretario generale Uilm, chiede che si volti definitivamente pagina.
Nazionalizzare Palombella? Ma è già un problema portare lo Stato, oggi in minoranza in Acciaierie d’Italia, al 60%
«In questo momento lo Stato deve nazionalizzare l’ex Ilva. Non abbiamo altre possibilità. Lo Stato, il Governo, devono assumere il pieno controllo dell’azienda. Strade diverse sarebbero sbagliate e non porterebbero ad alcun risultato. Abbiamo già una collezione di strade sbagliate percorse nel passato perché ogni qualvolta il Governo è intervenuto, ha solo rafforzato la posizione di Mittal e i risultati si sono visti».


Ma se lo Stato passasse in maggioranza, comunque avrebbe in mano le leve gestionali dell’azienda? 
«Il passaggio in maggioranza dello Stato è legato all’aumento di capitale. E chi decide di fare quest’aumento? L’attuale socio maggioritario, cioè Mittal. Che ha già detto che di aumento di capitale non c’è bisogno, che l’urgenza per l’azienda oggi si chiama liquidità e che un accordo dello scorso maggio ha rinviato a maggio 2024 la salita dello Stato al 60%. Quindi, è la tesi di Mittal, perché cambiare i ruoli? Mi devi invece dare un miliardo di euro, dice ancora Mittal allo Stato, perché ti sei impegnato a farlo». 
In effetti, l’azienda dice che il Governo, una volta entrato con Invitalia in Acciaierie d’Italia, non ha onorato i patti. 
«Ma se ora lo Stato desse a Mittal il miliardo di euro del decreto Aiuti Bis che fine farebbe? Come e dove verrebbe impiegato? Non lo sappiamo. Buio assoluto. Il miliardo finirebbe presto come i 400 milioni versati un anno fa da Invitalia».
E allora, Palombella, questo miliardo come lo usa? 
«Il Governo deve usare le risorse che ha per cancellare ArcelorMittal. Bisogna nazionalizzare l’azienda e chiudere con Mittal, anche pagando se necessario».


Mittal scatenerebbe una battaglia legale… 
«Vediamo che fa. Non dobbiamo spaventarci dinanzi al rischio di una battaglia legale. Meglio spendere le risorse oggi per chiudere questo libro che continuare a bruciare soldi a vanvera. E poi ci sono anche le condizioni, secondo me, per rescindere il contratto con Mittal per inadempienza. Non ha mai raggiunto i 6 milioni di tonnellate di acciaio, che è il livello produttivo annuo per il quale la fabbrica è autorizzata; non ha riportato al lavoro il personale finito a Ilva in amministrazione straordinaria; è partito con la cassa integrazione a Taranto a luglio 2019, meno di un anno dopo il subentro, per 1.200 unità e da allora non l’ha mai interrotta. Anzi. L’impegno, in sede di accordo del 2018, era quello di non ricorrere alla cassa integrazione e di non dichiarare esuberi. E invece cosa abbiamo? Tremila dipendenti di Acciaierie d’Italia in cassa straordinaria sino a marzo 2023, 2mila dell’indotto che rischiano di andare ora in cassa, 1.700 di Ilva in amministrazione straordinaria in cassa da anni. L’azienda dice che non può produrre 6 milioni di tonnellate per il prezzo del gas. Ma altri siderurgici stanno sul mercato, come mai? L’ex Ilva, invece, quest’anno chiuderà intorno ai 3 milioni, meno di quanto fatto nell’anno del Covid, meno di quanto fatto dai commissari dell’amministrazione straordinaria». 
Lei dice azzerare, ma Urso parla invece di riequilibrio.
«Il ministro è nuovo, deve ancora studiare il dossier. È importante che si sia già reso conto che la situazione non va per niente. A Urso lo dirò: ministro, non servono le soluzioni tampone. Perdiamo solo tempo e soldi. Serve un cambio radicale».
Giorgetti, appena prese in mano il dossier Ilva da titolare del Mise, disse che il contratto vedeva lo Stato debole. Perché non si è cambiato già da allora secondo lei? 
«Non lo so. Chiedo da tempo che Mittal sia allontanato. E vedo che in questi anni Mittal si è rafforzato, allo Stato non ha dato conto e l’ex Ilva di questo passo è condannata alla fine». 
Nazionalizzare la fabbrica vuol dire che deve gestirla lo Stato? 
«Per un periodo transitorio sì. Potrebbe occuparsene l’amministrazione straordinaria. Poi lo Stato dovrebbe decidere che fare. Non siamo nel deserto una volta cacciato Mittal. Abbiamo industriali e competenze importanti cui poter ricorrere, da Arvedi ad Acciaierie Venete. E abbiamo una prima base di risorse da cui ripartire». 
Ci sono tantissimi creditori che bussano alla porta
«Lo so, ma un miliardo messo oggi nell’azienda così com’è, ci riporterebbe tra non molto nella situazione attuale. Né possiamo consentire che Mittal gestisca l’acciaio green del futuro con i soldi che mette lo Stato. Abbiamo bisogno di un’azienda che torni a lavorare, a produrre e la si può avere solo intervenendo alla radice. Non esistono altri modi»
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