L'intervista/Onofrio Romano: «L'addio di Letta ha salvato il M5s. Un premier donna? Non cambierà la struttura patriarcale»

L'intervista/Onofrio Romano: «L'addio di Letta ha salvato il M5s. Un premier donna? Non cambierà la struttura patriarcale»
di Alessandra LUPO
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Martedì 27 Settembre 2022, 04:45 - Ultimo aggiornamento: 11:43

Onofrio Romano, sociologo ed esperto di scienze politiche oggi docente di Uniroma3, come legge il dato di queste politiche, tutto già previsto?
«Il dato mi sembra abbastanza previsto e prevedibile, senza grandi sorprese rispetto ai sondaggi. C’è stata una conferma di quello che alcuni temevano e altri auspicavano».
In cosa ha sbagliato il centrosinistra?
«Chiaro che il peccato originale è stato quello di non provare a costruire un fronte opposto al centrodestra e questa è una responsabilità prima di tutto del Pd, che ha chiuso le porte senza spiragli a una forma di convergenza. In questo modo ha permesso al M5s di riprendere fiato».
Gli ha fatto un favore?
«Questo non so dirlo ma non sono persuaso che andando insieme avrebbero avuto un grande successo. Certo, non sono i numeri del 2018 ma l’exploit c’è stato e secondo me all’interno di una coalizione con Pd e Calenda questo non sarebbe avvenuto».
Perché?
«L’elettorato ha concentrato la propria rabbia e delusione nel voto ai 5s proprio perché si è distaccato da quello che viene considerato l’establishment». 
Però in Puglia ne fanno parte.
«Anzitutto il governo pugliese è un unicum, ha una sua specificità e anche Michele Emiliano lo è, poiché viene percepito come un corpo estraneo nel Pd».
Anche a sinistra?
«Nel mondo di sinistra viene visto come un usurpatore da tollerare in virtù del suo appeal elettorale ma i suoi connotati non sono conformi a quelli culturali della sinistra. Ma questo vale anche al contrario: la gente vede questo distacco come un elemento di vicinanza rispetto ai grandi papaveri della sinistra». 
Che in questo caso non lo hanno ascoltato.
«Emiliano spesso ci vede più lungo anche se non sempre usa bene questa sua percezione degli umori popolari.
Tra lui e Conte, però, gli elettori hanno scelto Conte.
«Il fatto che il M5s abbia un ruolo, non marcato, in Puglia credo che nelle elezioni politiche valga poco. Soprattutto durante il suo secondo governo, Conte ha messo in campo politiche che rientrano della tradizione social-democratica, ma che sono ormai assenti nei soggetti che nominalmente si fanno eredi della tradizione di sinistra. Dal Pd in particolare».Un superamento a sinistra?
«In un certo senso: nella gestione della pandemia c’è stato un ritorno alla protezione del cittadino da parte dello Stato. La sinistra in questo è indietro di trent’anni».
Qual è la lezione di queste elezioni quindi?
«Io credo che in queste lezioni ci sia stato un grande “scappellotto” al governo Draghi, visto che ha vinto chi gli ha voltato le spalle. Fdi a Destra e il M5s da sinistra. Le elezioni ci hanno dimostrato che gli italiani non hanno creduto alla narrazione del salvatore».
Che la prima donna premier d’Italia arrivi dalla destra è un paradosso?
«No, ma fa parte di una certa ipocrisia del nostro Paese».
Parla della pretesa attenzione alla parità dei generi che non si traduce nei fatti?
«Sicuramente Giorgia Meloni è una persona apprezzabile, al di là del valore politico: ha costruito la sua carriera all’interno di una forma novecentesca di politica. Il fatto che sia la prima donna a scalare prima il partito e poi il governo mi pare più un difetto della cultura di sinistra, che ha puntato tanto sulle politiche di genere senza poi realizzarle».<QA0>
La destra lo sta facendo al suo posto?
«Anche qui c’è ipocrisia: Meloni, così come Salvini e Berlusconi, paladini della famiglia tradizionale, hanno famiglie che piacerebbero al centrosinistra. La sua stessa elezione sembra un elemento rivoluzionario ma non lo è, perché la destra resta una struttura patriarcale: non basta metterci una donna. Un’ipocrisia che per forza di cose non potrà che tradursi anche nelle politiche concrete».
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