L'intervista/Ines Rielli (Libera): «La libertà delle donne è ancora inaccettabile nella nostra società patriarcale»

L'intervista/Ines Rielli (Libera): «La libertà delle donne è ancora inaccettabile nella nostra società patriarcale»
di Alessandra LUPO
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Martedì 9 Maggio 2023, 05:25 - Ultimo aggiornamento: 15 Maggio, 15:31

La tragedia di Torremaggiore ci pone per l’ennesima volta di fronte alla realtà schiacciante della sopraffazione maschile sulle donne. “Una dinamica del possesso inestirpabile dalla società patriarcale”, secondo Ines Rielli, psicologa, già docente all’Università del Salento, per anni coordinatrice del Progetto Libera e co-autrice del libro “Libera-Libere: pensieri e pratiche femministe su tratta, violenza, sfruttamento”, recentemente rieditato da Vita Activa. 
Ines Rielli, dopo ogni femminicidio ci si trova a interrogarsi su dinamiche che in fin dei conti resistono anche di fronte a una società mutata. Perché?
«Perché la dinamica è sempre la stessa, a prescindere da come e quanto la società ci appaia mutata, la libertà femminile resta insopportabile all’interno della cultura patriarcale e maschilista in cui siamo ancora immersi».
Eppure siamo circondati da modelli differenti.
«I modelli che ci circondano non intaccano il simbolico di un maschile centrato su una virilità, concetto incardinato all’interno di un’asimmetria di poteri tra uomini e donne che resta più che mai attuale. E questo riguarda tutte e tutti».
Si parla spesso del fatto che per educare emotivamente i futuri uomini sia necessario partire fin da piccoli. Sta avvenendo?
«Mia Martini lo cantava: (gli uomini) “sono figli delle donne ma non sono come noi”, ci sono tante donne che hanno cresciuto i figli nel rispetto ma poi spesso i ragazzi assumono atteggiamenti di predominio, anche con loro in famiglia. D’altronde anche nei gruppi di adolescenti si sentono ancora discorsi sulla in termini di proprietà: «Quella è la mia ragazza e guai a chi me la guarda». 
Cosa bisogna fare allora?
«Quello che va cambiato è il discorso pubblico sui simboli e sul senso. Un percorso che deve iniziare precocemente con strumenti formativi adeguati che abbraccino per intero il discorso sul genere, senza scollegarlo dalla violenza».
Cosa ferma questo percorso?
«A volte un pregiudizio, anche politico. Penso alle battaglie sulla differenza di genere così come a quella sul gender. Il risultato è che i nostri ragazzi sono ancora immersi in una cultura sessista e maschilista che trova la sua massima espressione nel disprezzo per i diritti Lgbtq+».
Nonostante tutto però abbiamo una donna premier e un’altra segretaria del Pd. Qualcosa sta cambiando o no?
«Il punto non è essere donna o uomo ma la consapevolezza, la presa di coscienza: la lettura della realtà e del suo simbolico e le politiche messe in campo. Quando penso che le politiche sulla maternità si riducono al dare denaro (a parte l’inadeguatezza delle cifre) mi metterei le mani nei capelli. Eppure nel Nord Europa ci sono modelli esportabilissimi. Abbiamo una società strutturata sul maschile, basta spostare il focus delle politiche sui diritti e i bisogni quotidiani delle donne».
Crede che gli uomini siano culturalmente sguarniti di fronte a questo cambio di passo?
«Come dicevo all’inizio, la libertà delle donne è insopportabile per un maschile che trova e fonda la sua forza sulla sottomissione delle donne, che ha un problema di ruoli, di sé, di come situarsi nel mondo, del senso che da a se stesso e alle relazioni con gli altri e le altre».
Un consiglio?
«Smettiamola di dare spiegazioni settoriali alla violenza. Consideriamo il tema della violenza sulle donne una questione politica centrale, consideriamo i tempi e gli spazi di vita delle donne come il centro dell’azione politica. Ribaltiamo la prospettiva».
Voi di Libera avete messo in guardia anche sulle dinamiche di potere all’interno dei servizi di aiuto per donne. Perché le dinamiche di potere a volte si riproducono anche lì?
«Perché tutte noi siamo immerse in questo simbolico e talvolta ne diventiamo compici inconsapevoli. Dobbiamo riflettere e autoriflettere sulle dinamiche di potere implicite nelle relazioni d’aiuto perché non ci può essere libertà, per noi e per le altre donne, senza riconoscimento e senza democrazia nelle relazioni».
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