L'intervista a Daniele De Luca, presidente Scienze Politiche Unisalento: «L'esito del conflitto in Ucraina? Le sanzioni peseranno»

L'intervista a Daniele De Luca, presidente Scienze Politiche Unisalento: «L'esito del conflitto in Ucraina? Le sanzioni peseranno»
di Adelmo GAETANI
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Venerdì 4 Marzo 2022, 07:44 - Ultimo aggiornamento: 21:48

Ha scritto Lev Tolstoj in Guerra e Pace: “Togli il sangue dalle vene e versaci dell'acqua al suo posto: allora sì che non ci saranno più guerre”. Le parole del grande scrittore russo richiamano la necessità di una palingenesi dell'animo umano come unica possibile via d'uscita dalla guerra immanente. Ma sono anche parole che ci riportano al nostro tempo, quando un viaggio verso l'inferno del recente passato, per non dimenticare la tragedia dell'Olocausto, è diventato anche il viaggio verso l'inferno del presente, l'aggressione all'Ucraina.

«È stata una triste concomitanza il fatto che il Treno della Memoria sia partito lo stesso giorno dell'attacco russo», dice Daniele De Luca, docente di Relazioni Internazionali e presidente del corso di laurea in Scienze Politiche dell'Università del Salento. «Ed è stata una circostanza - continua il professore - che ha obbligato me e gli studenti che accompagnavo a Cracovia, come accade da dodici anni, ad un supplemento di riflessione sul senso della storia e i suoi contorti percorsi che portano a sanguinosi conflitti». Nei pressi della città polacca sorgono luoghi simbolo di atrocità e perdizione.

La visita ai campi di concentramento nazisti si è svolta mentre al di là del confine, in terra ucraina, il fragoroso rumore delle armi aveva coperto gli ultimi tentativi di una soluzione diplomatica.

Professore, che situazione ha trovato a Cracovia?
«Parliamo di una città non molto lontana dal confine ucraino e gli effetti dell'attacco scatenato da Putin si sono visti subito con l'arrivo dei profughi e le manifestazioni contro la guerra. In Polonia il sentimento antirusso è antico e il popolo polacco vive con rabbia mista ad angoscia quanto accade alle sue porte, anche se gli ombrelli di Nato e Ue - che l'Ucraina non ha - costituiscono per la Polonia, come per tutti gli altri Paesi del vecchio Patto di Varsavia, una difesa contro tentativi di aggressione».
Pochi si aspettavano l'accelerazione della crisi e un attacco armato così violento. Perché?
«Personalmente non pensavo possibile lo scenario di guerra che abbiamo sotto gli occhi. Al massimo si ipotizzava un intervento limitato al Donbass, un'area dell'Ucraina orientale dove dal 2014 agisce un movimento di separatisti filo-russi. In verità, circolavano dettagliati allarmi dell'intelligence Usa addirittura sul giorno dell'attacco, tanto che Putin aveva usato l'arma dell'irrisione per replicare».
Perché questi report della Cia sono stati sottovalutati?
«Le ragioni possono essere diverse, credo abbia inciso anche un elemento psicologico, una sorta di rimozione del pericolo incombente. Settanta anni di pace in Europa ci hanno fatto dimenticare i rischi della guerra. Quando questi rischi si sono manifestati abbiamo preferito non credere a quello che poteva accadere, abbiamo chiuso gli occhi».
Putin ha lanciato una sfida totale al mondo occidentale: qual è il suo obiettivo finale?
«Il presidente Putin non ha mai nascosto di voler ricostruire l'impero russo. Questo disegno è legato all'atavico spirito di insicurezza e di accerchiamento che domina tutta la storia della Russia e che diventa particolarmente aggressivo ai tempi degli Zar e dell'Urss, in particolare dopo le invasioni di Napoleone e Hitler. Determinante per comprendere la situazione di oggi è volgere lo sguardo a quanto accaduto con la fine della Guerra Fredda quando crollata l'Unione Sovietica nasce la Federazione Russa. Una nuova realtà politica che si ritrova debole, arretrata economicamente, sostanzialmente isolata e impossibilitata a giocare un ruolo significativo sullo scenario internazionale. Con l'arrivo di Putin al vertice dello Stato, nel 1999, si comincia a riannodare il filo della storia di un Paese che vuole riconquistare la sua forza, con moderni armamenti, e la sicurezza oltre i propri confini».
Non crede che l'Occidente abbia commesso l'errore di isolare Mosca dopo la caduta dell'Unione sovietica?
«Se questo è potuto accadere è stato per responsabilità della stessa Russia che non è riuscita ad essere una forza attrattiva e rassicurante tant'è che i Paesi cosiddetti satelliti, appena liberi dalle catene hanno scelto l'Occidente, cioè la democrazia e la libertà, la Nato e l'Unione europea. In fondo, il diritto allo spirito di insicurezza e di paura e l'anelato desiderio di sicurezza interna, è qualcosa che la Russia dovrebbe riconoscere anche oltre i suoi territori. Cosa che non è, come l'aggressione all'Ucraina dimostra».
L'Ucraina seppellita dalle bombe. E ora?
«L'espansionismo russo è all'opera con grande potenza di fuoco. Nel 2014 la Russia ha annesso la Crimea, territorio ucraino, senza che nessuno abbia battuto ciglio. Probabilmente Putin deve aver pensato di replicare se non su tutta, su gran parte dell'Ucraina l'operazione-Crimea contando sulla sostanziale indifferenza del mondo occidentale. Questa volta le cose sono andate in modo diverso perché l'Occidente ha fatto sentire la sua voce e ha accerchiato la Russia con durissime sanzioni. Ora si tratta di capire quanto potrà resistere Putin».
C'è una via d'uscita dalla guerra?
«L'obiettivo di Putin è chiaro: cacciare Zelensky (definito neonazista, nonostante sia ebreo) e insediare a Kiev un nuovo governo che abbandoni qualsiasi proposito di adesione alla Nato. È evidente che i russi vogliono accrescere la loro forza negoziale attraverso un'opera di demolizione delle difese militari ucraine e di conquista o accerchiamento delle principali città per costringere il governo alla resa».
L'Occidente sta operando le scelte giuste in difesa dell'Ucraina e della libertà di tutti?
«Più che giuste, sono scelte obbligate, ma questa volta anche di estrema efficacia. Un'operazione militare diretta è esclusa perché non sarebbe una semplice operazione convenzionale: sullo sfondo rimane il pericolo nucleare, come hanno ricordato nelle ultime ore minacciosamente sia Putin che il ministro degli Esteri, Lavrov. È stata scelta l'arma letale delle sanzioni economiche totali. Le conseguenze non potranno che essere dirompenti per la società russa. Messo alle strette, quanto potrà reggere Putin e quanto sarà saldo il suo potere nel breve-medio periodo?».
C'è una via d'uscita per Putin?
«È difficile fare una previsione su questo punto, mentre è possibile dire come Mosca, se lo vuole, può stabilire rapporti equi con l'Europa».
In che modo?
«La Russia dovrebbe condividere i valori di libertà e le regole democratiche che sono alla base delle società aperte. Ed è quanto vogliono molti suoi cittadini. Vorrà farlo, anzi potrà mai farlo, dal momento che quel Paese nutre mire imperialiste, mentre non c'è libertà di espressione e la persecuzione dei dissidenti è all'ordine del giorno? È la Russia che deve interrogarsi e scegliere il suo futuro. L'Europa non potrebbe opporre mai chiusure nei confronti di un Paese che volesse imboccare la strada del dialogo, del rispetto tra i popoli e della convivenza democratica».
 

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