L'intervista/Dario Stefàno: «Per il dopo-Emiliano nessuna all’eredità nobiliare»

L'intervista/Dario Stefàno: «Per il dopo-Emiliano nessuna all’eredità nobiliare»
di Alessandra LUPO
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Martedì 18 Ottobre 2022, 04:50 - Ultimo aggiornamento: 19:15

«La destra vince ma non aumenta i suoi voti, che restano a 12 milioni dal 2008 a oggi. Dallo stesso anno il Pd ha invece perso 8 milioni di voti e in Puglia è passato dai 740mila del 2008 ai 290mila del 2022». Parte da un dato numerico l’analisi di Dario Stefàno, ex senatore ed ex Pd, al momento in “pausa di riflessione” politica. 
Dario Stefàno, lei ha sbattuto la porta del Pd mentre si componevano le liste che accoglievano le richieste di Michele Emiliano di puntare sui civici a scapito delle indicazioni dei territori. Una scommessa persa?
«In Puglia il Pd ha 6mila voti in meno rispetto al 2018, nonostante l’aggregazione di Articolo Uno e Demos. I famosi 100mila voti promessi dai civici per la candidatura blindata di alcune personalità di quel mondo non ha prodotto praticamente nulla.»
E se fosse stato un argine per un risultato peggiore?
«Non c’è una controprova ma ci sono dichiarazioni pubbliche di civici che, con la vittoria elettorale de 25 settembre, sono già tornati alla propria casa. Ed il Pd in Puglia ha portato a casa un risultato deludente perché piegato ad una antica subalternità del progetto politico a una visione personalistica»
Parla di Emiliano?
«Emiliano non è iscritto al partito. Fosse anche solo per una scelta obbligata, resta il dato fattuale che rende incomprensibile, da un punto di vista etico e politico, che il Partito Democratico, in Puglia, sia sostanzialmente governato, da anni, da un non iscritto e dai suoi sodali, ad esclusivo uso e consumo di ambizioni personali. Un tema che ha da sempre condannato il Pd pugliese a una condizione di subalternità rispetto alle ambizioni personali di chi, in questi ultimi 15 anni, ha detto tutto ed il contrario di tutto».
Si riferisce ai trasversalismi?
«La vicenda Mellone è solo un esempio di comportamenti politicamente inaccettabili rispetto ai quali il Pd nazionale e regionale sono rimasti silenti. Così come il cambio di posizione repentino di questi giorni sull’autonomia rafforzata».
Perché il presidente ha cambiato idea?
«Io ci ho messo anni a far capire al mio gruppo parlamentare Pd che sul Mezzogiorno andava fatta una battaglia politica. Ho lottato come un leone per ottenere che almeno il 40% dei fondi Pnrr fosse destinato al Sud. Quando Letta a Taranto l’ha definito una “premialità” mi vennero i brividi, perché quello è un nostro diritto primario. Ora Emiliano si è “convertito” ma qual è la vera faccia?».
Esiste un problema di capacità del partito?
«Certo, ma questo chiama tutti alla responsabilità di aver piegato la questione politica a una gestione delle postazioni istituzionali: Emiliano ha capito bene fin da subito che per candidarsi alle Regionali doveva presidiare la funzione di segretario regionale del partito. Lo pretese mentre era sindaco di Bari e quando ha smesso di fare il segretario ha comunque continuato a governare il partito in una logica di postazioni».
Non crede che sia stato un silenzio di convenienza?
«Alle Politiche abbiamo sempre perso in Puglia, nonostante fossimo al governo della Regione: se la convenienza la si misura solo sulle postazioni istituzionali mi pare che questo progetto ormai scricchioli».
Crede che l’astro di Emiliano sia in fase calante?
«Oggi è costretto a costruire un asse con i 5s per sopravvivere. Ma non per convincimento politico, tant’è vero che si inizia solo dopo le Regionali. Ed ora che i vari ritorni nel centrodestra possono moltiplicarsi, con l’aggiunta del l’opposizione interna, rischia di non avere la maggioranza e si vede costretto a proteggersi con questa alleanza».
L’ha più delusa come il partito ha gestito i grandi temi nazionali oppure l’accentramento dei poteri regionali?
«Il Pd nasce come un luogo di centrosinistra, per essere la casa del riformismo. Se l’idea invece oggi è di farne un partito di sinistra identitaria perde la sua missione».
Il Pd esiste ancora?
«Ha bisogno di ricalibrarsi. Io sono stato da sempre un sostenitore della maggioranza Ursula anche in parlamento, per accorpare l’area moderata e riformista costretta alle destre. La verità è che il Pd questa questione non la affronta. Sono 5 anni che si attende un’analisi critica, non l’ha fatta Zingaretti non l’ha fatta Letta. Alle stesse Politiche ci siamo presentati senza uno straccio di alleanza e sapevamo tutti che le strade con il M5s si erano separate».
Avrebbe fatto un’alleanza con Calenda e Renzi? 
«Due gli errori capitali: aver coltivato solo lo schema del rapporto con i M5s, anche se era palese che, dal Quirinale in poi, Conte avesse obiettivi diversi, considerati i segnali di OPA sugli scontenti del Pd. Il secondo, non essere stato coerente nel perseguire un’alleanza con Calenda e Renzi, preferendo Bonelli. Letta ha tentato un accordo con Azione solo al fine di scaricare Italia Viva, per togliersi il famoso sassolino dalla scarpa. Ma con i risentimenti non si fanno strategie, nemmeno in politica».
Chi ha sostenuto alle ultime Politiche? Pd o Terzo Polo?
«Ho avuto una pausa di riflessione, le liste del Pd non erano votabili in Puglia. Rispondevano a logiche diverse dalla politica».
Quelle del Terzo Polo?
«Distratti dall’urgenza di chiudere le liste in poco tempo si sono lasciati corteggiare da un civismo finto che fino al giorno prima stava con Emiliano e che con lui è tornato. Questo ha sottratto un potenziale di consenso importante».
Il suo interesse per questo progetto esiste ancora?
«Sono anni che Calenda esprime apprezzamento nei miei confronti e per me la loro proposta ha una valenza politica, perché si misura sulla pragmaticità dell’azione di governo. Al netto degli errori in Puglia, come facevano a stare insieme a Bonelli? Domanda che farei anche a Sinistra Italiana: dopo tutto quello che è successo a Taranto anche Nicola (Fratoianni ndr) dovrebbe avere qualche difficoltà a starci insieme». 
Lei si è tirato fuori dai giochi quando tutto questo stava per accadere.
«La mia critica è stata severa, lo ammetto: mi sono tirato fuori di fronte a evidenti anomalie. E ho deciso di non partecipare a questa competizione elettorale. C’è una credibilità che bisogna osservare. Il risultato però è che non abbiamo rappresentanza territoriale al Senato (Boccia e Valente risiedono altrove). Alla Camera abbiamo due eletti residenti a bari e il terzo che come prima dichiarazione ha detto di voler restare capo di gabinetto in Regione. Rappresentare il territorio è un optional, evidentemente, e non era il motivo della candidatura».
Ha detto delle cose simili a quelle che dice Bonaccini. Potrebbe ritrovarsi nelle condizioni di far parte dell’agone di questo nuovo partito?
«Io credo che partire solo da un nome sia un errore: sono abituato a partire dalla periferia. Ci sono quasi più candidati che iscritti e sono 5 anni che non c’è discussione».
Lei parteciperà?
«Ci vuole qualcosa di più per convincermi e io al momento non lo vedo. Tanto più se il Pd continua a essere così equivoco. Mi autosospesi facendo una scelta forte. Letta mi chiese di togliere l’auto-sospensione per avere una voce alternativa a chi creava imbarazzi al partito. Ma se poi a quella voce non si dà possibilità di esprimersi si resta equivoci. Ci sono anomalie enormi: il principale consigliere di Emiliano (Giovanni Procacci ndr) è nella segreteria regionale Pd ma organizza al contempo le civiche che desertificano il partito a ogni appuntamento elettorale».
Loro dicono che aggregano. 
«Aggregare per fare cosa? Se l’aggregazione serve solo a conquistare la postazione, alla fine il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi: ogni seduta di consiglio regionale lo racconta. E la Puglia del 2022 sta peggio di quella del 2015. Federalberghi lo ha detto chiaramente ma Anche i dati Enit lo dicono espressamente. Per non parlare di Sanità, formazione e ciclo dei rifiuti».
Cosa pensa della possibile candidatura di Decaro alle Regionali?
«Io stimo Antonio ma non possiamo pensare che la presidenza della Regione sia un tutolo di eredità nobiliare. Né che si possa circoscrivere sempre al sindaco di Bari».
È un’ autocandidatura?
«No, ma credo che tutti quanti abbiano il diritto di partecipare alla discussione che deve però partire da un’analisi critica di quello che c’è stato sinora. Io vorrei sentire anche da Antonio Decaro cosa pensa di quello che sta accadendo in Puglia. Invece oggi la discussione sulla successione ha delle modalità oltremodo offensive per i territori».
Lei resta in pausa dunque?
«La politica per me è passione ma l’impegno ha senso se ci sono luoghi e spazi in cui poter esprimere un contributo anche di competenza ed esperienza. Ho un movimento formato da persone che condividono con me questo impegno».
Cosa ha pensato quando Berlusconi è rientrato in Senato dopo che da presidente della giunta ne ha decretato la decadenza?
«Io su quella vicenda ho pagato prezzi altissimi ma resto convinto di aver fatto quello che la norma imponeva. Oggi la riabilitazione di Berlusconi è legittimata dal percorso giudiziario e dal voto».
Tutta questa critica spesso è rimasta solitaria, possibile che siano tutte monadi?
Le opportunità di affondare realmente il colpo con candidature alternative ci sono state, vi ha un po’ fatto comodo avere Emiliano come muro dietro cui nascondersi?
«Io mi sono anche candidato perché il rischio di un modello personalistico lo intravedevo già nel 2015. Molti anche allora sono invece rimasti silenti. È forse giunta l’ora che questo silenzio si rompa».

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