L'intervista/Daniele Del Genio (Rossorame): «Il glamour? Ci fa conoscere anche come produttori»

L'intervista/Daniele Del Genio (Rossorame): «Il glamour? Ci fa conoscere anche come produttori»
di Alessandra LUPO
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Mercoledì 25 Maggio 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 15:37

La Puglia è sempre più legata alla moda e grazie alle maison che la scelgono come location per i loro i eventi, questo filo rosso si rafforza. Ma è solo merito della bellezza? Daniele Del Genio, titolare di Rossorame, brand di culto di Martina Franca che veste artisti e vip, lei è anche il presidente di Cna Puglia, che ricadute hanno i grandi eventi sul settore?
«Intanto c’è da dire che Gucci ha un forte legame con il territorio pugliese, dove ha spostato porzioni crescenti di produzione affidandosi a laboratori specializzati. E questo conferma la qualità delle nostre aziende».
Parliamo di terzisti, ovviamente..
«Sì, di laboratori che producono vari tipi di prodotto: capi articolati come abiti, t-shirt e felpe. Nel Salento soprattutto maglieria, calzature e jersey leggero, nella Valle D’Itria si lavorano i capispalla, i pantaloni: il cosiddetto tessuto fermo. Nella zona di Barletta soprattutto le calzature antinfortunistica. Nella zona di Putignano ci sono gli abiti da sposa: nell’ultimo periodo c’è stato un vero e proprio risveglio della produttività».
Da quando tempo?
«Direi dalla sfilata di Dior a Lecce».
Moda chiama moda?
«Se un colosso come Dior arriva in Puglia con la sua sfilata che ha un richiamo mondiale, così come Gucci evidentemente, accanto alla notizia dell’evento glamour si diffonde il fatto che entrambi i marchi producono su questi territori. E questa informazione diventa interessante anche per altri gruppi».
Il territorio ritrova la sua storica tradizione di terzismo?
«Sì, anche negli anni passati arrivavano produzioni di grosse griffe ma sempre per via indiretta. A fare da tramite erano spesso aziende del nord Italia che prendevano le commesse e le distribuivano frazionate da noi».
Quindi una delle ricadute immediate potrebbero essere le commesse dirette?
«Sì, questa è una delle ricadute più significative: ora le case madri si rivolgono direttamente al territorio e negli ultimi tempi c’è una grandissima richiesta di lavorazioni».
Finalmente fuori dall’incubo?
«È un momento magico ma che ha delle criticità. Anzitutto bisogna stare attenti a non fare brutte figure, perché le aziende che arrivano adesso hanno standard elevati. Se non si risponde adeguatamente, la pena è la chiusura dei rapporti. Il periodo appena superato ha indebolito la struttura delle aziende che hanno dovuto fare diete forzate per resistere al Covid. E adesso devono rimettersi in sesto molto velocemente. E poi c’è un’altra occasione, che ci auguriamo possa essere colta dai più, per strutturare in maniera strategica le nostre filiere. Perché questo ci permetterà non solo di proporci alle grandi griffe, ma anche di rispondere a una richiesta del mercato internazionale che ha bisogno di produzioni controllate e di alta qualità ma che spesso ha difficoltà a intercettare strutture produttive adeguate».
Motivo?
«Le dimensioni molto piccole e la poca visibilità. Esistono aziende che hanno anche 60 dipendenti ma che non si trovano sul web. Questa è un’occasione storica per prepararsi al futuro»
Nel vostro caso il salto è stato dalla produzione alla Griffe. Potreste essere d’esempio per altri?
«Certamente ci sono le condizioni favorevoli per chi ha la capacità di mettere in piedi una collezione o un brand e proporsi in autonomia. La globalizzazione e internet offrono occasioni che prima erano impensabili».
Quello che la globalizzazione tolse con la delocalizzazione oggi lo potrebbe restituire insomma?
«Chi ha reagito alla crisi facendo leva solo sul prezzo ha perso la battaglia perché il ribasso dei costi non ha limite. Chi invece ha puntato sulla qualità sta vivendo una nuova stagione. Le esperienze di Dior e Gucci ci sta insegnando due cose fondamentali: abbiamo un territorio meraviglioso fatto non solo di mare e buon cibo ma anche di cultura e luoghi significativi. Questo va valorizzato e fare in modo che non si tratti solo di episodi. Ereditando queste esperienze possiamo fare in modo che l’offerta produttiva, turistica e culturale sia integrata e diventi attrattiva. Non c’è bisogno di essere i più bravi ma occorre valorizzare le nostre differenze, usare le risorse senza consumarle. Nel rispetto di quello che abbiamo ereditato. Diversamente il turismo consumerà spiagge, cibo e giornate ma senza lasciare nulla.
Da cosa si inizia?
«Dalla velocità: il mondo viaggia a una velocità spaventosa.

L’anno prossimo non ci sarà un’altra sfilata di Gucci. Bisogna battere il ferro finché è caldo, sia da parte delle istituzioni sia da parte degli operatori economici».

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