Dopo il voto/ Alessandro Laterza: «Politica senza lungimiranza, l'autonomia sarebbe una catastrofe»

Dopo il voto/ Alessandro Laterza: «Politica senza lungimiranza, l'autonomia sarebbe una catastrofe»
di Paola ANCORA
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Domenica 2 Ottobre 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 00:59

«Lo sguardo al futuro della politica attuale si spinge in là di una settimana, non oltre». Per Alessandro Laterza, barese e dal 1997 amministratore delegato della storica società editrice, alla politica italiana manca una delle tre doti che Max Weber riteneva essenziali: la lungimiranza, che “doma” la passione politica trasformandola da “frivolo gioco intellettuale” di dilettanti che “si agitano a vuoto” in servizio pubblico per la comunità.
Laterza, guardando al governo che verrà, quali sono le riforme che ritiene essenziali per il Paese?
«I giovani e la scuola, le politiche di coesione e il dissesto idrogeologico. Sulla scuola, per me fondamentale, non abbiamo mai messo mano in maniera efficace e al Sud siamo molto indietro. Tutte le forze politiche dicono sia essenziale, ma ci troviamo a misurarci costantemente con una situazione disastrata. Avere la capacità e la cultura per produrre un sistema scolastico e universitario all’altezza è prioritario».


Cos’altro?
«Sono un uomo del Sud: ritengo fondamentale una vera politica di coesione, che non vediamo da un pezzo. La debolezza del Mezzogiorno è una debolezza nazionale ed europea. Infine, il dissesto idrogeologico, del quale ci ricordiamo solo quando capita una sciagura, dimenticando che certi disastri sono l’esito di scelte molto risalenti nel tempo. Il mio è un ventaglio di temi sbilanciato sul futuro, molto al di là di quello che la politica consente di fare e immaginare oggi».
 

A proposito di scuola, l’astensionismo elevatissimo di questi ultimi anni è legato anche ai livelli di benessere culturale e socio-economico dei territori. Al Sud è molto più alto che al Nord. Cosa ne pensa? 
«Non ne sono purtroppo stupito, tale correlazione è ormai acclarata. Nell’ultima tornata elettorale c’è stato il segno, a mio avviso, di un ulteriore moto di disaffezione al voto perché le preoccupazioni reali delle persone non hanno avuto alcun significativo legame con programmi, temi e toni della bruciante campagna elettorale. Ed è un problema non ideologicamente collocato». 
 

Tuttavia i sondaggisti hanno chiarito come l’astensionismo eroda consenso soprattutto nelle file progressiste, europeiste e fra i giovani. Perché?
«I giovani sono i più colpiti dalla crisi e per loro c’è una evidente scarsità di proposte. Poi l’inflazione, la crisi energetica, l’attesa messianica che si scarichi a terra il Pnrr: abbiamo tanti problemi con cui misurarci che non sono entrati affatto nella campagna elettorale. Ha “bucato” lo slogan del Movimento Cinque Stelle sul Reddito di cittadinanza, che ha dato la sensazione che ci fosse qualcuno che si occupa dei più deboli e niente altro. È stato uno scambio di slogan, ma nessuno ci ha detto che fine faremo». 
Forse perché nessuno ha ancora una soluzione. 
«Certo. Sarebbe ingenuo pensare che ci sia chissà quale forza magica a risolvere ogni cosa, ma il punto è che i problemi e la campagna elettorale hanno viaggiato su due binari paralleli. Non c’è stata alcuna tangenza. E l’elettorato, questa distanza, la avverte. Queste elezioni hanno registrato poi un gigantesco rimescolamento. Nella mia personale rappresentazione, il centrodestra ha perso il centro, rappresentato da Renzi e Calenda. Il centrosinistra ha perso la sinistra: il Pd è diventato un partito centrista, pieno di buone intenzioni ma senza un programma forte e senza uno slogan capace di raggiungere il cuore degli elettori. Il suo ruolo in commedia lo esercita oggi il Movimento Cinque Stelle».
 

Restando alle soluzioni alla crisi, ci si muove costantemente in una cornice europea e internazionale. Come spiega, quindi, che gli italiani e i pugliesi abbiano scelto di riporre la loro fiducia in una coalizione a forte connotazione nazionalista?
«Se si è avuta la pazienza di ascoltare qualche chiacchiera al bar, gli elettori dichiaratamente di destra hanno valorizzato tre componenti: l’aspettativa di non avere problemi di bolletta, quella di pagare meno tasse e una certa sensibilità al richiamo dello slogan “Dio, Patria e famiglia” che in tempi difficili come questi esercita un suo fascino e non va letto come segno di ingenuità. Esiste, è vero, un nocciolo euroscettico fra Fratelli d’Italia e Lega, ma il problema relativo all’atteggiamento da assumere nei confronti dell’Unione, pure importante, è passato in secondo piano e non dobbiamo scandalizzarci o criminalizzare. Il voto, anche al Sud, si è aggregato su altro. I pentastellati, per esempio, anche con il Superbonus hanno fatto passare l’idea che si occupassero del Mezzogiorno più di altri». 
Dall’autonomia differenziata alla revisione del Pnrr, è preoccupato dei provvedimenti che potrebbe assumere il prossimo esecutivo di centrodestra? Teme che il Sud venga marginalizzato?
«Su questa materia si deve esercitare massima vigilanza. L’autonomia differenziata sarebbe una mezza catastrofe, ma bisogna capire se si vorrà mandarla avanti in maniera spiccia. Lo stesso vale per il Pnrr, serve grande prudenza: si parla di rimodulazioni come si trattasse di un cesto della spesa, ma non è così. È presto per giudicare: dobbiamo aspettare». 
Fratelli d’Italia accarezza l’idea di una modifica in senso presidenziale della architettura dello Stato. È favorevole? 
«Si profilava l’ipotesi che al centrodestra andassero i due terzi dei seggi parlamentari, per fortuna non è accaduto. Avremmo rischiato grosso, perché probabilmente, non potendo fare granché sotto il profilo economico, l’attenzione si sarebbe scaricata tutta su argomenti come questo, che costano poco, ma possono fare enormi danni. Non dico che non si possa mettere mano alla Costituzione, ma quando la Carta costituzionale fu scritta, non c’era grande simpatia per l’idea di accentrare i poteri nelle mani di una sola persona. Io dico ragioniamoci, ma prevedendo un consenso larghissimo per riforme simili che significano rivoltare la Costituzione, non semplicemente cambiarla». 
Giorgia Meloni potrebbe diventare la prima donna premier d’Italia. La retorica dell’empowerment femminile, che ha dato linfa a tanta letteratura, ha fallito o è stata usata dalla sinistra come arma di distrazione per sbarrare la strada a una reale emancipazione?
«È peggio di quello che lei dice. Le donne nei partiti non sono state valorizzate da nessuno. Il caso Meloni ci auguriamo sia un passaggio che prelude a una modifica del “peso” dato al contributo femminile da tutte quante le forze politiche, ma in sé per sé non è un segnale di svolta. In Europa molte donne hanno oggi ruoli di potere, ma non sono funghi spuntati dal nulla: sono la conseguenza del fatto che in quei Paesi il lavoro delle donne è stato valorizzato. Qui siamo molto indietro». 
La crisi energetica e delle materie prime morde il fianco anche delle imprese editrici. Il costo della carta è aumentato del 40%. È preoccupato? 
«Siamo davvero nei guai, sì. Fra costi dell’energia e della carta, stampare un giornale fra poco sarà impossibile e questo vale anche per i libri. Per chi opera nell’editoria e nell’informazione si prepara un periodo molto difficile perché non è che si possa scaricare sui prezzi finali i costi che stanno lievitando. Ci sarà una tensione molto forte e riguarderà tutte le attività manifatturiere, con problemi occupazionali importanti. Tecnicamente stiamo entrando in una fase recessiva, speriamo si sgonfi il prezzo del gas e si metta fine a questa spirale perversa».
Dietro ogni crisi si cela una opportunità. Qual è quella da scorgere oggi? 
«Facendo l’imprenditore devo manifestare d’ufficio un atteggiamento di fiducia rispetto al fatto che dietro la crisi ci sia una spinta al cambiamento, ma bisognerà capire se ne avremo la forza. Scontiamo difficoltà legate a fattori esterni al Paese, ma ci misuriamo da sempre con difficoltà di sistema: qui in Italia se tocchi uno spillo, si scatena una categoria. E siccome non abbiamo onestamente grandi sistemi valoriali ai quali riferirci, tutto si riduce a una partita fra singole persone o gruppi. Ogni decisione determina uno smottamento: pensi ai taxi o alle licenze dei balneari. Questo causa un perenne traccheggiamento quando si deve compiere una scelta e spiega anche la fortissima inclinazione a cercare un uomo o una donna “del destino” ritenuti capaci di risolvere tutto magicamente. È romantico, ma non può funzionare». 
 

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