Melillo: «La mafia cambia volto e strategie, combatterla è un dovere di tutti»

L'appuntamento questa mattina a Maglie: cerimonia al liceo Da Vinci per l'intitolazione del presidio di Libera a Piersanti Mattarella

Giovanni Melillo
Giovanni Melillo
di Roberta GRASSI
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Lunedì 5 Giugno 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 20:29

Giovanni Melillo, procuratore nazionale Antimafia, l’anniversario della strage di Capaci ci riporta a una stagione terribile. Cosa vuol dire, oggi, essere mafiosi? E cosa vuol dire, oggi, antimafia?
«La parola mafioso ormai definisce un genere più ampio di quello riconducibile all’organizzazione criminale siciliana che ha ordito e realizzato quella terribile strage nel tentativo di preservare antichi equilibri di potere che le assicuravano impunità. Oggi quell’espressione indica coloro i quali, a varie latitudini, fanno parte di organizzazioni criminose impegnate nella riproduzione di una sorta di ciclo di continua trasformazione della violenza in ricchezza e della ricchezza in relazioni di affari e di complicità necessarie non soltanto per assicurare impunità per i delitti commessi, ma per conquistare legittimazione e consenso sociale. Per esser brutali, al mafioso con la coppola sul capo e la lupara sulle spalle si è sostituito l’imprenditore che parla il linguaggio della corruzione e della frode fiscale, ma è sempre in grado di attingere al potere violento che lo ha originato».
Il presidio scolastico di Libera al Liceo Da Vinci di Maglie sarà intitolato a Piersanti Mattarella. Quanto valgono, soprattutto per i ragazzi, la memoria e il ricordo di coloro che hanno combattuto la mafia? 
«Sono fondamentali. Costituiscono l’arma più importante delle democrazie. Uno dei tratti in comune di mafia e terrorismo, che spiega anche la capacità della prima di ricorrere al metodo della strage tipico del terrorismo, è la pretesa di rendere nulla, irrilevante, insignificante la vittima. Riconoscere e ricordare lo straordinario valore civile e morale dell’esempio di quanti sono stati travolti dalla violenza mafiosa, perché considerati ostacolo da abbattere cinicamente, è essenziale per conservare la consapevolezza dei valori in gioco nel contrasto della criminalità organizzata e del terrorismo: semplicemente, la libertà e la democrazia». 
La vicenda di Piersanti Mattarella riporta alla luce i contatti pericolosi che evidentemente da sempre ci sono stati fra mafia e politica: tema attualissimo. Quanto sono presenti e pervasivi, oggi, quei contatti?
«Il rapporto fra mafie e politica è un rapporto antico ed essenziale alla conservazione del potere mafioso, che è costantemente proteso a tessere relazioni essenziali per condizionare la pubblica amministrazione, abbattere o addomesticare i controlli, procurare opportunità affaristiche, conquistare sempre nuove aree di influenza e controllo. Naturalmente, oggi quel rapporto ha assunto forme nuove e diverse dal passato, ma resta intatta la pretesa delle organizzazioni mafiose di controllare il loro territorio e le attività economiche che vi si svolgono, con gli strumenti della corruzione e della intimidazione. Basterebbe considerare lo stato delle cose nelle decine e decine di comuni, anche molto importanti, sottoposti alla drastica misura dello scioglimento degli organi elettivi per avere un quadro realistico di un pericolo sempre attuale e che, ormai, non riguarda soltanto le regioni meridionali».
Come è riportato in tutte le relazioni, si parla ormai di una mafia che fa impresa e si infiltra così nell’economia legale e nella pubblica amministrazione. Accade per la Ndrangheta, per la Camorra e per Cosa nostra. Secondo lei anche per la Sacra corona unita è cosi?
«Tutte le organizzazioni mafiose seguono quel ciclo di trasformazione della violenza in ricchezza e della ricchezza in leva per conseguire impunità e legittimazione di sé e delle proprie ricchezze. Anche la Sacra Corona Unita, come dimostrano anche indagini molto recenti dei bravissimi magistrati della Procura antimafia di Lecce guidata da Leonardo Leone de Castris».
Negli ultimi anni si è fatto ampio ricorso allo strumento degli scioglimenti dei comuni e delle interdittive per le aziende. Si tratta di strumenti realmente efficaci, che nel concreto aiutano la lotta alla criminalità? 
«Il controllo prefettizio sul rischio di condizionamento mafioso delle amministrazioni locali è necessario. Si tratta di uno strumento irrinunciabile per fronteggiare autentiche forme di asfissiante controllo illegale delle attività di quelle amministrazioni. Ma da solo non basta. Lo dimostra il fatto che comuni importanti siano stati sciolti più volte, a distanza di pochi anni dal precedente intervento, ciò rivela che in alcuni territori il condizionamento mafioso della vita delle comunità locali si tinge dei colori della emergenza democratica. Allo scioglimento dovrebbe seguire una mobilitazione delle coscienze e un impegno collettivo per riannodare i fili della trasparenza e della correttezza della pubblica amministrazione tagliati e dispersi per effetto della lunga coagulazione di affarismo mafioso e indifferenza morale che è di regola alla base delle cause dello scioglimento. Quanto alle interdittive antimafia, si tratta di uno strumento importante per assicurare la trasparenza del mercato delle imprese chiamate a partecipare alla distribuzione degli appalti pubblici. Dunque, di uno strumento che mira a evitare l’inquinamento dell’economia e della sfera pubblica, come tale affidato ai prefetti e sottoposto al controllo del giudice amministrativo, secondo regole e garanzie che sono state recentemente rafforzate nella prospettiva di evitare ingiustificate esclusioni e danni reputazionali non facilmente riparabili».
Tuttavia, nel dibattito che si è attivato su scioglimenti, interdittive e misure di prevenzione, sono emersi vulnus e criticità. A volte anche errori e distorsioni. Sarebbe il caso di riformare o apportare dei correttivi?
«Sono temi oltremodo seri, che richiederebbero analisi differenziate e assai più complesse di quelle ora possibili. Ma, in tutti i casi, si tratta di strumenti la cui applicazione è sottoposta a incisive forme di indipendente controllo giudiziale e che, progressivamente, hanno visto la loro dimensione di garanzia dei diritti individuali molto rafforzata dal legislatore e dalle evoluzioni giurisprudenziali. Ma non dobbiamo dimenticare che le mafie non sono un’emergenza, come taluni credono, facendo coincidere il pericolo mafioso con la sola dimensione di violenta contrapposizione allo Stato, ma sono una componente strutturale del tessuto sociale ed economico del Paese, ruotando attorno ai cartelli mafiosi autentiche costellazioni di imprese che immettono silenziosamente sul mercato gli enormi profitti di traffici illegali e schiacciano la concorrenza delle altre imprese».
È stato proprio lei a lanciare l’allarme sul condizionamento che la criminalità opera sulla pubblica amministrazione e sull’assenza di anticorpi interni agli enti pubblici. Ritiene che la riforma del reato di abuso d’ufficio vada in una direzione opposta a quella dei maggiori controlli da attivare nella Pubblica amministrazione? ll problema della “paura della firma” si è spesso tradotto in inerzia della Pa, e nella gran parte dei casi le inchieste sull’abuso d’ufficio si traducono in un nulla di fatto.
«Il problema della “paura della firma” è reale e non riguarda soltanto la giustizia penale, ma dubito che possa trovare soluzione mediante interventi parziali e inadeguati, che rischiano di aggravare le contraddizioni di un sistema normativo più volte rabberciato con le medesime intenzioni. Uno sguardo obiettivo sullo stato delle cose nella pubblica amministrazione, soprattutto nel Mezzogiorno, storicamente segnato da grande debolezza delle funzioni pubbliche, restituisce un immagine con molte luci, ma ancora più ampie zone d’ombra, derivanti, oltre che dal progressivo scadimento delle competenze e della stessa autorevolezza delle strutture pubbliche, da una sorta di ischeletrimento dei controlli interni. Dunque, come ho anche recentemente sottolineato nel corso di una mia audizione parlamentare, una domanda di arretramento dei controlli esterni apparirebbe più forte e credibile se accompagnata dalla ricostruzione di una efficiente macchina di controlli interni alla pubblica amministrazione».
Andrebbe aperta una riflessione sullo “statuto pubblico” della magistratura, soprattutto in relazione a due rischi concreti. Da un lato la tentazione per le toghe - ed è un allarme che lei ha lanciato di recente - di presentarsi come “depositari dell’etica pubblica, inseguendo precari vantaggi del circuito mediatico”. E dall’altra parte la necessità di garantire rigore e trasparenza: le inchieste che vedono coinvolti i magistrati sono sempre di più. In che termini andrebbe aperta una riflessione?
«Il primo è un rischio sempre presente, che concorre ad alimentare distorsioni profonde del ruolo del magistrato e della delicata funzione, la giurisdizione, che egli è chiamato ad esercitare, conservando la consapevolezza del valore relativo della verità processuale e costumi, anche personali, di sobrietà, riserbo ed equilibrio che rischiano di essere offuscati quando il magistrato e, in particolare, il pubblico ministero, mostra di ricercare invece il sostegno e il consenso del circuito mediatico.

Il secondo è un rischio ancor più grave, mettendo in gioco la trasparenza e dunque la stessa credibilità della giurisdizione. Al di là delle deviazioni patologiche, che vanno individuate senza esitazioni e perseguite severamente, vi è un più generale problema di contrastare la tentazione di chiusura autoreferenziale che è di ogni corpo burocratico, aprendo l’organizzazione degli uffici giudiziari a logiche di controllo democratico, rette da controlli non formali, ma mirati a saggiare la reale trasparenza e l’efficienza del loro funzionamento. Se l’organizzazione di corti, tribunali e procure fosse meno ripiegata su temi e preoccupazioni micro-corporativi e maggiormente protesa a dare risposte chiare e rapide alla domanda di giustizia dei cittadini, non soltanto l’autorevolezza della magistratura, ma anche la qualità della vita democratica e la speranza di progresso civile del Paese ne trarrebbero grande giovamento».

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Questa mattina, lunedì 5 giugno, alle 10, il procuratore Antimafia Giovanni Melillo sarà protagonista della cerimonia al liceo scientifico Leonardo da Vinci di Maglie per l’intitolazione del presidio scolastico di Libera a Piersanti Mattarella. Introdurrà la dirigente scolastica Annarita Corrado. Dopo i saluti di Ernesto Toma (sindaco Maglie), Fabio Tarantino (vicepresidente Provincia di Lecce), don Angelo Cassano (Libera), Giuseppe Silipo (dir. gen. Usr Puglia), Sebastiano Leo (assessore regionale all’istruzione), Luca Rotondi (Prefetto di Lecce), gli interventi di Daniela Marconi (vicepres. di Libera); Giancarlo Caselli (pres. onorario di Libera); Giovanni Salvi (già Procuratore Generale Corte di Cassazione); Antonio Maruccia (Procuratore Generale Corte d’Appello di Lecce), lo stesso Melillo, il ministro Raffaele Fitto. Dialoga Francesco Gioffredi, caporedattore Nuovo Quotidiano di Puglia.

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