Parola ai candidati/1 Rossi: «Ambiente e innovazione senza ricatti al territorio»

Parola ai candidati/1 Rossi: «Ambiente e innovazione senza ricatti al territorio»
di Francesco G. GIOFFREDI
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Giovedì 7 Maggio 2015, 23:56 - Ultimo aggiornamento: 13 Luglio, 23:23

Il palpito filo-ambientalista, certo. Ma la matrice non è solo quella: le radici più solide affondano nell’esperienza, fiorita alle Europee dello scorso anno, di “L’Altra Europa con Tsipras”. La pattuglia di sedotti e abbandonati dal vendolismo, che sogna un complessivo ribaltamento del sistema, alle regionali sarà guidata da Riccardo Rossi, sotto le insegne di “L’Altra Puglia”.

Dalla crisi si esce, è la vostra tesi, «ribaltandone i pilastri». Almeno nel contesto europeo. Ma questo schema come andrebbe applicato alle latitudini pugliesi?

«Bisogna ribaltare le politiche dell’Europa, tra rigore e austerity. In questo momento le decisioni sono assunte nel cuore dell’Ue da istituzioni che di democratico hanno ben poco, rispondendo non direttamente ai popoli, ma ai grandi interessi della globalizzazione e della finanza. Politiche che poi sono tradotte dai governi nazionali e regionali».

Ma le Regioni, sotto quest’ottica, hanno un raggio d’azione limitato. Lo stesso Vendola ha provato più volte a remare controcorrente. Quel Vendola con cui voi stessi avete condiviso l’esperienza delle elezioni europee...

«Ma Vendola ha avuto un azionista di maggioranza come il Pd, dunque non ha avuto una proposta politica autonoma. Intanto però la Puglia è stata oggetto di politiche nazionali dalle pesanti conseguenze, mettendo il nostro territorio a disposizione dei grandi interessi delle multinazionali. I casi di Tempa Rossa, Tap e delle trivellazioni sono emblematici. Ma sono politiche che la Regione può smontare, opponendosi in tutti i modi».

Tradotto: la Regione ha fatto poco.

«Del resto era una coalizione in cui c’era tutto dentro. Il risultato è stato un disastro: una Regione senza capacità negoziale forte. La stessa cosa è successa per la xylella: una sottovalutazione iniziale senza la capacità di proporre autonomamente qualcosa di diverso, appiattiti sul piano di eradicazione».

Anche Emiliano contesta lo stallo e promette discontinuità: potrebbe essere un vostro interlocutore?

«Da parte di Emiliano c’è il tentativo di assicurarsi un quadro di alleanza in grado di portare avanti quelle politiche da noi contestate. Ormai la sua coalizione è un ex centrosinistra, mette insieme storie differenti: l’unico collante che unisce valori e visioni di società così diversi non è il profilo politico, ma la volontà di vincere comunque e gestire il potere, secondo un quadro dettato dall’Europa e dal governo Renzi. E quando Emiliano mostra di volersi smarcare, lo fa perché gioca a fare l’esponente della società civile, dimenticando d’essere il segretario regionale del Pd».

Lei aveva proposto alle altre forze regionali “alternative”, compresi i Cinque stelle, un’alleanza per contrastare il monopolio centrosinistra-centrodestra: come mai l’ipotesi è naufragata?

«Ci abbiamo sperato fino alla fine. A partire da una considerazione: se tutti abbiamo l’obiettivo di ribaltare il tavolo di queste politiche e di questa finta alternanza, ci sembrava scontato poter essere più forti e più credibili. Non posso pensare che l’ostacolo a un percorso del genere possa essere stata la non piena sovrapponibilità dei programmi, perché bisognava invece guardare alle priorità per stare insieme. Ero anche disponibile al passo indietro, e continuo a ritenere che dopo le elezioni dovremmo costruire insieme un polo alternativo».

Molti di voi hanno sostenuto la stagione della Primavera pugliese: una rivoluzione tradita?

«Un’esperienza che non ha portato frutti totalmente: ci sono tante questioni ancora in piedi. Ma le condizioni di contesto sono anche diverse: nel 2005 esisteva il centrosinistra, ora non più. Adesso la valutazione principale che ci discosta dalle altre forze riguarda il futuro, non il bilancio del passato».

Rossi, intanto però siete percepiti come “quelli dei no” su tutta la linea.

«Faccio una battuta: sono i “no” che aiutano i bambini a crescere. In Puglia invece abbiamo avuto la politica dei troppi “sì”, tutti in virtù del nodo occupazionale. Negli ultimi decenni la questione meridionale ha dettato scelte che si sono rivelate del tutto sbagliate, con danni ambientali e sociali. Penso a Brindisi: ha 90mila abitanti, il più grande polo chimico ed energetico, ma anche 20mila disoccupati. Ecco perché ci vogliono i “no” se si intende portare altre iniziative industriali di quel tipo».

Però l’Ilva già c’è: ipotizzarne la chiusura comporta un cortocircuito occupazionale e sociale.

«Se ne esce solo con una politica davvero intenzionata a superare quel modello sviluppo. Non basta promettere di smantellare tutto, bisogna anche avere le idee chiare sul dopo, mettendo al centro grandissime risorse finanziarie per creare uno sviluppo differente, garantendo ai tarantini strumenti di sostegno al reddito e nuovi posti di lavoro».

In che modo?

«Tra livello governativo e regionale, tramite i fondi Ue, a Taranto devono essere destinati 8-10 miliardi per rimettere in moto l’economia, spaziando dalle bonifiche all’aeroporto, dallo sviluppo del porto all’innovazione tecnologica. In quest’ottica la Regione potrebbe intervenire sulla leva della formazione professionale riqualificando il personale, o destinando fondi europei per costruire pezzi di economia differenti».

Che modello di sviluppo immagina in Puglia? Possibile si debba soltanto passare dall’estremo dell’industrializzazione spinta a quello dell’economia puramente turistica?

«Agricoltura e turismo non possono bastare, pur essendo due tasselli importanti, con l’obbligo di specificare quale agricoltura e quale turismo, e dunque non certo puntando sul turismo di massa che implica cementificazione selvaggia. L’obiettivo è pensare ai cervelli pugliesi, puntando sull’innovazione già dalla scuola, fino all’università e alla ricerca, realizzando poli di aggregazione. Penso al caso della Citadella della ricerca di Brindisi: sta morendo, invece poteva essere un attrattore di imprese tecnologicamente avanzate in settori ad alto valore aggiunto».

Capitolo sanità: nel suo programma lei insiste sull’assistenza territoriale. Che però implica, com’è successo fin qui, una radicale razionalizzazione dei posti letto negli ospedali. E i territori? E il campanile?

«Non siamo per un ospedale per campanile: occorrono strutture di primo livello avanzate per un certo bacino di utenti, e poi strutture di secondo livello. Ma quasi sempre è successo che dinanzi a piani di razionalizzazione i politici, da destra a sinistra, abbiano reso impossibile la riallocazione di risorse agendo sulla leva campanilistica. La questione non sta nel voler chiudere o meno gli ospedali, ma nell’offrire servizi migliori, con grandi centri ospedalieri e case della salute per soddisfare il bisogno diffuso territorialmente. Restano comunque due grandi punti deboli nella sanità pugliese: le liste d’attesa e i ticket. Aspetti che, in un processo di impoverimento della società, costringono la gente a due scelte: o rivolgersi al privato, o abbandonare il percorso diagnostico e di cura. Fa specie vedere un governo di centrosinistra non aver compreso tutto ciò».

Ma intervenire a saldi di bilancio invariati non è semplice.

«Le risorse possono essere riallocate dandosi delle priorità. E poi la Regione doveva opporsi con un vero braccio di ferro ai nuovi tagli del governo al fondo sanitario».

In dieci anni è cambiata la percezione dall’esterno della Puglia. Lei apporterebbe dei correttivi sui dossier più scottanti, o cambierebbe del tutto rotta?

«Dal punto di vista del brand sicuramente la Puglia ha un’immagine diversa. Ma sotto quella immagine non possono esserci gli errori che abbiamo denunciato. Alla regione turisticamente appetibile abbiamo il dovere di affiancare l’altra Puglia dei cittadini».

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