In Puglia un occupato su 4 ha più titoli di quelli richiesti

In Puglia un occupato su 4 ha più titoli di quelli richiesti
di Maria Claudia MINERVA
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Domenica 6 Settembre 2020, 10:34 - Ultimo aggiornamento: 15:56
Molti studiosi sostengono la centralità dell'istruzione come mezzo per ottenere posti di lavoro privilegiati e indicano nei laureati i maggiori beneficiari dei vantaggi distribuiti dal mercato del lavoro.
A corredo di questa tesi ci sono molte ricerche in cui si evidenzia che il conseguimento di un livello di istruzione superiore permette di ottenere posizioni con reddito elevato sul mercato del lavoro e di alto prestigio sociale rispetto a chi si è fermato al diploma di scuola superiore o, addirittura, alle medie. Ma a fronte di questi risultati ce ne sono altrettanti che indicano il contrario, e cioè che in questo momento storico e con questa congiuntura economica sfavorevole, crescono, proprio per i laureati, le difficoltà nel trovare occupazioni corrispondenti al titolo di studio conseguito.
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Secondo la Cgia di Mestre c'è una maggioranza silenziosa di lavoratori che ha più titoli di studio di quelli richiesti dalle mansioni che svolge: «Sono oltre 5.800.000 gli occupati sovraistruiti presenti in Italia pari ad un addetto su quattro e ciò causa demotivazione» sottolinea l'Ufficio studi, dimostrando con numeri alla mano la portata di un fenomeno che diventa ogni giorno più grave.
Negli ultimi 10 anni la crescita più sostenuta del numero degli occupati sovraistruiti l'ha avuta il Trentino Alto Adige (+57 per cento), seguito dalla Sardegna (+46 per cento), e la Puglia (+45 per cento), che invece nel 2019 ha avuto il 24,5% (302mila) di sovraistruiti (uno su 4). Tra i laureati che svolgono un lavoro per il quale il titolo di studio più richiesto è inferiore a quello posseduto le professioni più diffuse sono quelle di tecnico informatico, contabile, personale di segreteria, impiegato amministrativo. Tra i diplomati, invece, prevalgono i lavori di barista, cameriere, muratore e camionista.
La sovraistruzione riduce la produttività del lavoro, come conferma Paolo Zabeo, coordinatore dell'Ufficio studi Cgia: «L'incremento di chi è sovraistruito è in massima parte dovuto alla mancata corrispondenza tra le competenze specialistiche richieste dalle aziende e quelle possedute dai candidati. Non va nemmeno dimenticato che grazie al ricambio generazionale registrato in questi anni sono usciti dal mercato del lavoro tanti over 60 con livelli di istruzione bassi, rimpiazzati da giovani diplomati o laureati senza alcuna esperienza alle spalle. Tuttavia - spiega -, la sovraistruzione non va sottovalutata, perché molto spesso attiva meccanismi di demotivazione e di scoramento che condizionano negativamente il livello di produttività del lavoratore interessato e conseguentemente dell'azienda in cui è occupato. Il clima di sconforto che si viene a creare può innescare delle situazioni di malessere che diffondendosi tra i colleghi può addirittura interessare interi settori o reparti produttivi, con ricadute molto negative per la vita dell'azienda».
Cosa fare allora? Secondo gli esperti della Cgia di Mestre «per combattere la sovraistruzione bisogna assolutamente ridurre lo scollamento tra domanda e offerta di lavoro, cercando di far collimare sempre più le esigenze aziendali con le specificità e l'autonomia del mondo della scuola». Un lavoro che in Puglia Università e aziende stanno già portando avanti da qualche tempo, sebbene non sempre con risultati soddisfacenti.
C'è anche un altro paradosso. Per Cgia sebbene il problema della sovraistruzione sia in costante ascesa, l'Italia continua ad essere tra i meno scolarizzati d'Europa. «L'anno scorso la quota di popolazione italiana tra i 25 e i 64 anni in possesso di almeno un titolo di studio secondario superiore era del 62,2 per cento - dice il segretario Renato Mason -, un dato decisamente inferiore a quello medio dell'Unione a 28, pari al 78,8 per cento e a quello di alcuni tra i nostri principali competitor». La Francia l'80,4, il Regno Unito l'81,1 e la Germania l'86,6 per cento. Sebbene negli ultimi anni ci sia stata una contrazione del fenomeno, un elevato numero di giovani continua a lasciare prematuramente la scuola, anche dell'obbligo, concorrendo ad aumentare la disoccupazione giovanile, il rischio povertà ed esclusione sociale. Nel 2019 l'abbandono scolastico è stato del 13,5 per cento, per un totale di 561mila giovani. Ma nonostante la disoccupazione giovanile sia alta, il livello di istruzione ancora ben al di sotto degli standard europei e l'abbandono scolastico rimanga sostenuto, anche nel pieno della fase Covid le imprese hanno faticato a trovare personale. Stando, infatti, alla periodica indagine condotta su un campione significativo di imprese da Unioncamere e Anpal, il 30 per cento circa delle 200 mila assunzioni previste ad agosto è stato di difficile reperimento. Tra le professioni meno facili da coprire la Cgia segnala meccanici artigiani, riparatori e manutentori, autisti di bus e mezzi pesanti.
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