In arrivo un'altra stangata sul prezzo dei carburanti

In arrivo un'altra stangata sul prezzo dei carburanti
di Rita DE BERNART
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Domenica 9 Ottobre 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 08:45

Greggio a 150 dollari al barile. Un’ipotesi folle che potrebbe materializzarsi nei prossimi mesi a causa dell’instabilità degli equilibri internazionali. All’orizzonte, intanto, nuovi aumenti previsti a breve per gasolio e benzina. E mentre l’Opec, organizzazione di 13 paesi esportatori di petrolio, ha stabilito nei giorni scorsi il taglio di 2 milioni di barili di petrolio al giorno, nel Mediterraneo è corsa al petrolio russo, in previsione dell’embargo previsto a fine anno. La situazione, già grave, pesa anche in Puglia su cittadini e categorie produttive.

I Porti

Nei giorni scorsi è emersa la difficoltà riscontrata dai porti pugliesi. In occasione dell’Adriatic Sea Forum il presidente dell’Autorità portuale del mare Adriatico Meridionale, Ugo Patroni Griffi, ha lanciato l’allarme. I porti, ha sottolineato, sono fra le strutture più energivore e risentono in modo significativo del caro carburante; a questo si aggiungono le difficoltà legate a all’avvio delle comunità energetiche che potrebbero contribuire a svincolarsi in parte dalla dipendenza dai mercati esteri. Serve dunque una politica chiara per la transizione energetica che conduca alla costruzione di impianti per la produzione di carburanti alternativi come il Gnl, lo stesso Gpl ma anche il metanolo e l’ammoniaca. Di ieri invece l’allarme di Coldiretti per gli effetti del caro gasolio sui pescherecci; il prezzo raddoppiato rischia infatti di limitarne l’attività o lasciarli a terra. Ma cosa sta accadendo nel mercato internazionale? Si teme di restare senza materia prima. «La decisione di Opec Plus che ha deliberato il taglio di produzione di 2 milioni di barili al giorno – spiega Giuseppe Greco, direttore di Camer, società che opera nel settore della distribuzione di carburante, gas ed energia - ha sorpreso i Paesi europei e gli Usa che, al contrario, chiedevano di aumentare i volumi o quantomeno di mantenere quelli attuali. Ma le ragioni di questa scelta sono chiare: Opec ritiene che mantenere alto il prezzo possa favorire gli investimenti nella ricerca di campi di petrolio e idrocarburi. Il timore è quello di rimanere a secco nei prossimi anni».

La Situazione


L’Italia, in particolare, è uno dei Paesi che maggiormente subisce le scelte e le politiche internazionali essendo dipendente per il 97% da petrolio estero, di cui circa il 40% importato dalla Russia e il resto dai paesi dell’Opec. Il risultato di queste dinamiche porterà effetti immediati. «La reazione dei mercati a questa decisione – continua Greco - ha portato ad un aumento del costo del greggio dell’8% in una settimana e questo vuol dire che già dalla prossima ci saranno aumenti dei prezzi alla colonnina del rifornimento, con il gasolio che sfiorerà di nuovo l’1,9 e la benzina a circa 1,7. Le conseguenze sono chiare; il Governo è già intervenuto con il taglio delle accise del 25 % e non potrà andare oltre perché sarebbe un rischio per le entrate dello Stato; a pagare il prezzo più alto saranno dunque sempre i cittadini; e questo si aggiunge a gas ed energia».

Sul fronte del petrolio russo la questione sembra essere ancora più complicata. Secondo Greco la decisione dell’Europa di stabilire un tetto massimo, il “price cap”, al greggio dalla Russia è vista come una sorta di accelerazione verso l’embargo stabilito per fine anno. «Con il price cap - spiega ancora Greco - è come forzare la situazione, una specie di ulteriore sanzione, perché in realtà ci si è accorti che nel Mediterraneo stanno arrivando grandi quantità di petrolio dalla Russia che peraltro stanno vendendo con premi a sconto più alti della media internazionale. Tutte queste circostanze, unite al fatto che l’Europa ha limitato le triangolazioni di acquisto dopo l’embargo, in modo che le compagnie non possano in nessun modo trasportare materia prima dalla Russia, hanno comportato un rialzo di tutti i prezzi internazionali a partire dal Brent, il prezzo europeo del greggio. E questo potrebbe portare nel giro di tre quattro mesi ad un prezzo di 150 dollari a barile. Proprio per tale motivo l’amministratore delegato di Shell e altri dirigenti hanno lanciato l’appello a non tirare troppo la corda». In questo mare nero ne fanno le spese cittadini ed esercenti, alle prese con problemi di liquidità a fronte di margini di guadagno invariati; ma c’è chi, al contrario, ne trae facile vantaggio. «La speculazione – conclude il direttore di Camer - è figlia della carenza di materia prima, a farla sono le grandi compagnie petrolifere e i grandi speculatori di borsa. Infine non è trascurabile il fatto che l’euro si è indebolito rispetto al dollaro e col cambio il petrolio ci costerà il 15% in più. Non ci sono molte soluzioni: serve con urgenza una strategia energetica a breve e medio termine per il nostro paese e soprattutto ristabilire al più presto gli equilibri a livello mondiale».

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