Ex Ilva, per Taranto ancora tanti i nodi aperti: dall'idrogeno per la svolta green alle nomine del nuovo cda. Gli scenari

Ex Ilva, per Taranto ancora tanti i nodi aperti: dall'idrogeno per la svolta green alle nomine del nuovo cda. Gli scenari
Ex Ilva, per Taranto ancora tanti i nodi aperti: dall'idrogeno per la svolta green alle nomine del nuovo cda. Gli scenari
di Alessio PIGNATELLI
5 Minuti di Lettura
Venerdì 25 Giugno 2021, 05:00

E adesso cosa succede? Quali saranno le prossime tappe della vertenza ex Ilva dopo la sentenza del Consiglio di Stato? Sono gli interrogativi che tutte le parti in causa - sindacati, lavoratori, istituzioni - pongono al governo. Il pallino del gioco ora è inevitabilmente nelle mani del Mise guidato da Giancarlo Giorgetti ma il dossier presenta ancora tante insidie: le mosse per il consiglio d’amministrazione, la possibilità che Invitalia (società che rappresenta la parte pubblica) possa aumentare la sua quota in società prima del previsto, il nuovo piano industriale più “green” collegato ai fondi europei. Questi ultimi, però, nell’ultima stesura del Piano nazionale di ripresa e resilienza sono agganciati all’idrogeno, un processo certamente più complesso che determinerebbe tempi più lunghi per uno stabilimento decarbonizzato.

Gli scenari

Con ordine. La nuova società Acciaierie d’Italia è di nome ma poco di fatto. Lo Stato ha formalizzato il bonifico ormai da tempo e tramite Invitalia, società del Mef, è in partnership pubblico-privata con ArcelorMittal. Il nuovo cda sarà paritario, un’anomalia di per sé per le votazioni. I membri saranno in totale sei, tre di nomina statale e tre espressione dei francoindiani. Il presidente in pectore è Franco Bernabè (gli altri consiglieri espressione dello Stato sono Stefano Cao e Carlo Mapelli), l’ad dovrebbe essere la riconfermata Lucia Morselli. Due figure molto forti, ingombranti.

La convivenza sarà possibile? Questa è la prima perplessità sul prosieguo della nuova società. Qui si inserisce l’eventualità che lo Stato possa aumentare le proprie quote prima del previsto per poter avere un controllo maggioritario. È un’ipotesi plausibile e avanzata dagli stessi primi attori del dossier.

Nell’ultimo incontro con i sindacati tenutosi a metà maggio, è stato lo stesso ministro Giorgetti a confidare che si sta studiando la possibilità di anticipare i tempi. Il progetto originale prevede questo timing: dopo aver perfezionato il versamento di 400 milioni, lo Stato ha acquisito il 38 per cento del capitale sociale e diritti di voto pari al 50 per cento in base agli accordi. Entro maggio 2022 è previsto il completamento dell’operazione. Lo Stato, con un ulteriore esborso di 680 milioni, salirà al 60 per cento e nominerà l’ad. Il privato, invece, scenderà al 40 ed effettuerà un versamento di 70 milioni. Questo schema potrebbe quindi subire una variazione propedeutica a un peso maggiore di Invitalia. Anche se, è bene ricordarlo, tutta l’operazione è vincolata a delle clausole sospensive tra le quali l’avvenuto dissequestro degli impianti dell’area a caldo di Taranto, ora concessi con facoltà d’uso fermo restando il sequestro del gip, per reati ambientali, di luglio 2012. Insomma, la giustizia incombe sempre sul futuro del siderurgico. E non solo.

I fondi europei per la transizione

Perché c’è anche un altro tema da considerare. Si parla spesso di nuovo piano industriale ma, al di là di slides o di promesse, non c’è ancora un’ufficialità. Dapprima si ipotizzava il revamping di Afo5, il colossale altoforno a carbone fermo ormai da anni. Un’opzione che non collimerebbe con i propositi di transizione ecologica del governo. Una decarbonizzazione più spinta, si è detto da Roma, sarebbe possibile con i fondi europei. Solo che nella stesura finale del Pnrr c’è un capitolo che spiega i paletti per gli investimenti in Ricerca, Sviluppo e Innovazione. E mette al bando il gas - opzione più facilmente applicabile a medio termine nel processo della riduzione diretta per eliminare il carbone dagli inquinanti altiforni - consentendo invece l’idrogeno, ipotesi più avveniristica ma certamente più complessa, costosa e a lungo termine. “Nell’ambito di questo investimento - si legge nel testo - sarà lanciato un bando specifico per sostenere la R&D&I (Research, Development and Innovation) per il processo di produzione dell’acciaio attraverso l’uso crescente dell’idrogeno. Nell’ambito di questo progetto non sarà finanziato gas naturale.

Questa misura sostiene la produzione di idrogeno basata sull’elettrolisi utilizzando fonti energetiche rinnovabili”. Sarà quindi fondamentale capire come si potrà raggiungere questo risultato agganciando i fondi europei. Alcune proposte - l’azienda mette in campo come suoi partner industriali Fincantieri e Paul Wurth ma al Mise si studia anche la proposta del consorzio formato da Danieli, Saipem e Leonardo - sono sul tavolo ma le incognite per l’acciaio verde e per l’infinita vertenza dell’ex Ilva restano ancora tante

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