Il compleanno di Giacinto Urso «Mi guida la speranza. Così vivo a 97 anni oltre il pessimismo»

Il compleanno di Giacinto Urso «Mi guida la speranza. Così vivo a 97 anni oltre il pessimismo»
di Adelmo GAETANI
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Domenica 12 Giugno 2022, 17:05

Giacinto Urso compie oggi 97 anni. Punto di riferimento morale, memoria storica delle vicende politiche e sociali degli ultimi 80 anni, acuto e instancabile osservatore dei nostri tempi, l’onorevole Urso non ha mai fatto mancare il suo contributo di saggezza, idee e proposte espresse con il linguaggio della chiarezza, quello del “sì sì, no no”.
Onorevole, auguri e buon 97, un numero primo che, nella simbologia numerologica, indica tolleranza e introspezione. Si riconosce?
«Diciamo che i numeri primi dovrebbero soffrire di solitudine. Da questo punto di vista, spesso mi interrogo sul senso della solitudine, ma non so darmi una risposta che mi acquieti. Per il resto, ho voluto coltivare la tolleranza anche con chi la ignora, nella convinzione che le idee altrui vanno sempre tenute in conto. Certamente, non mi manca una discreta dose di introspezione, con un costante tracciato rivolto al futuro, senza sottovalutare il variabile contingente che intensifica la riflessione quotidiana, rendendola tormentata. Tutto ciò, con altro, mi ha reso positiva la vita».
In un’intervista di alcuni anni fa aveva detto: “Il presente mi piace poco e sul futuro sono pessimista”. Ha cambiato idea?
«Con rammarico mi sento costretto a ripetere che il presente mi piace poco e che sul futuro sono più pessimista di allora. Basta considerare che abbiamo patito e patiamo una orribile pandemia mondiale e lo scoppio insensato di una guerra che può raggiungere perfino un’intensità catastrofica per il pianeta. Non si tratta di essere veggente, tale non sono. È sufficiente non chiudere gli occhi e sapersi guardare attorno. È chiaro, in contempo, che non ho mai smesso di coltivare la pianta della fiducia».
Come trascorre il suo tempo?
«Leggo, studio, ripasso il passato che è miniera di novità. Non possiedo diari. Con santa superbia mi sono creduto un eterno possessore di memoria, una “signora” che a 97 anni si congeda sempre più in me. Per fortuna resta intatta la curiosità che porta fatica, gioia e sorpresa. La curiosità mi è stata sempre sovrana, accompagnata dalla voglia di sentirmi un eterno scolaro arrampicato sulle spalle di Maestri generosi nel concedermi magistero, purtroppo non sempre da me praticato. Ora scrivo poco, lo faccio ancora. Però l’anagrafe impone le sue regole. In più la solitudine non è conforto e riserva solo lo specchio. Immenso tributo al mio fare e al mio essere proviene dalla mia Rosaria, che, a protezione, è nei cieli da 14 anni assieme a mio figlio Vito».
Che cosa le fa più paura?
«La crescita esponenziale dei mali del mondo, profondi anche in Italia e in particolare nel Sud, ancor di più nel Sud del Sud, dove siamo anche noi».
Ha dedicato la sua vita alla politica, da esponente della Dc di scuola morotea, e al governo della cosa pubblica sin dai tempi della ricostruzione post-bellica. Cosa pensa del presente?
«Guardi, tra i mali di nuovo conio spicca la mina vagante di una politica quasi inesistente, povera di idee, ricchissima di alteri personalismi, culturalmente afona, fissata sui sondaggi e piegata sull’avidità del voto da raccattare. Una politica che sfugge alla visione del bene comune. Ripeto: è una mina vagante, malefica, che può scoppiare disintegrando il sistema democratico, in palese sofferenza e, per giunta, chiamato a scelte epocali, a discutere equilibri geopolitici sempre più aggrovigliati, sino a involgere aspetti esistenziali al momento minacciati».
I cittadini come reagiscono?
«Pare che non sempre si rendano conto della situazione. I partiti, che la Costituzione definisce e avvalora, oramai vengono ritenuti inutili, così dilaga l’astensionismo, trionfa l’indifferenza. Si invoca l’uomo solo destinato a divenire capo senza popolo per un popolo senza capo; si sotterra la formazione politica, anticamera del ripudio democratico. Bisogna ad ogni costo rompere questo rovinoso incantesimo, tenendo presente che populismo, sovranismo, nazionalismo e qualunquismo sono demoni che falciano qualsiasi rigoglio di democrazia compiuta, depositata nella Costituzione della Repubblica».
Andiamo incontro ad un futuro senza speranza?
«La speranza è una fiamma che va tenuta sempre accesa anche se su questo blocco di negatività è piombata la guerra, così l’orizzonte già fosco è diventato turbinoso, terribile. È una situazione che scopre anche le nostre fragilità, le nostre imprevidenze, le nostre distrazioni cullate per decenni. Non sarà agevole contrastare le brame territoriali di Mosca che, da tempo, progetta una ricomposizione della Grande Russia di antica memoria. Ora è nostro dovere stare al fianco dell’Ucraina e aiutarla nella lotta per la libertà e l’autodeterminazione. Con questo, non si vuole l’umiliazione della Russia, ma la salvezza di una Nazione, quella ucraina, in modo che sia anche un monito nei confronti degli aggressori a non ripetere il disastro voluto».
La guerra infuria da più di cento giorni, non c’è spazio per la pace?
«Occorrerebbe da subito uscir fuori da questo periglio e groviglio che porta danni incalcolabili su tutto il vivere civile, provocando disastri economici, sovversioni sociali, insanabili odi, veleni che non soltanto strangolano l’essenziale normalità, ma possono degenerare in follie atomiche e sconquassi epocali. Purtroppo, tutto lascia credere che le armi continueranno la loro opera di sterminio per chissà quanto tempo ancora. Del resto, la pace non può essere solo invocata, a volte addirittura strumentalmente. La pace, come ricorda il presidente Mattarella, si costruisce sul rispetto dei diritti umani e non si impone da sola, ma è frutto della volontà e dell’impegno concreto degli uomini e degli Stati, che oggi sembrano mancare».
Il Grande Salento, uno storico “sogno” del suo lungo impegno politico, si presenta con il cartello ormai sbiadito dei “lavori in corso”. È un obiettivo necessario e ancora perseguibile?
«Nonostante l’età e le notevoli angustie che accompagnano i miei tanti anni, ostinatamente rifletto sull’esigenza di pervenire, nei fatti, alla risorgenza del Grande Salento. All’auspicio di vedere la Regione Puglia e le altre Regioni a non essere “funghi di confusionismo”, come ebbe a dire a suo tempo il Presidente del Consiglio, Francesco Saverio Nitti, lucano di Melfi, unisco l’appello a impegnarsi per porre attenzione al ripristino ordinato del tessuto economico, paesaggistico e turistico delle zone terremotate dalla Xylella che reclama, come Costituzione vuole, interventi legislativi della nostra Regione e non impeti di ornate, ristrette rappresentatività categoriali».
Ci sono priorità che vuole sottoporre ad una riflessione comune?
«Ne voglio indicare tre. Intanto è urgente che il Sud sappia, prima di altri, essere da sé Mezzogiorno d’Italia e ricavi istruzione del coraggio che 72 anni fa si ebbe quando fu varata la Cassa per il Mezzogiorno. Poi, a pandemia non risolta, si metta in conto, dal momento che la Salute è bene primario, che la riforma Sanitaria del dicembre 1978, che mi vide presidente della Commissione parlamentare di Sanità, ha bisogno di cospicue variazioni e forse della centralizzazione di alcuni compiti. Infine, non si smetta di riflettere, mille volte mille, che senza una buona politica, espressa dai partiti come da Costituzione, la decadenza democratica trova il campo largo del qualunquismo più becero».
Con quale spirito possiamo e dobbiamo guardare al futuro?
«I tempi sono oscuri e celano risvolti preoccupanti. Ma non bisogna arrendersi. La luce non è diventata tutta notte, per sempre. Mi conforta il nostro Profeta salentino don Tonino Bello Vescovo quando ci dice che vegliare la notte significa anche speranza. Sarebbe una tragedia se gli operatori politici dovessero tirare i remi in barca. Nel linguaggio biblico, la notte è anche il tempo dei grandi avvenimenti della salvezza. E, allora, il compito è quello di scrutare l’aurora. E al passante che chiede ‘sentinella quanto resta della notte?’ si possa rispondere ‘c’è una schiarita verso il mattino’. Coraggio, politici cari. Si trovi nel duro lavoro il sostegno dei cittadini, il rispetto degli avversari, la solidarietà dei collaboratori, il consenso degli ultimi, la benedizione di Dio. Quando il tempo è oscuro, continuava don Tonino, i politici devono dare speranza. Io, a 97 anni di età, ci credo».
 

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LA SCHEDA BIOGRAFICA
Giacinto Urso è nato a Nociglia il 12 giugno 1925, risiede a Lecce dove gli è stata conferita la Cittadinanza onoraria.

Da oltre 60 anni nella vita pubblica, ha ricoperto numerosi incarichi. Sindaco e amministratore di Nociglia dal ‘52 al ‘92, segretario provinciale della Dc di Terra d’Otranto dal ‘57 al ‘63, parlamentare dal ‘63 all’83, sottosegretario alla Pubblica Istruzione nel IV e V governo Moro e presidente della Commissione Sanità quando, nel dicembre ‘78, fu varata la storica Riforma sanitaria. È stato presidente della Provincia di Lecce dall’85 al ‘90 e poi Difensore civico. Ha presieduto l’Associazione del premio di giornalismo “Antonio Maglio”. Ha raccolto in due volumi (“Storia e Storie”) le sue riflessioni pubblicate da “Quotidiano”.

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