Il 40% dei pugliesi guadagna meno dell'assegno di cittadinanza

Il 40% dei pugliesi guadagna meno dell'assegno di cittadinanza
di Pierpaolo SPADA
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Mercoledì 27 Febbraio 2019, 21:19
La platea dei potenziali aventi diritto al reddito di cittadinanza assorbirebbe il 30% dei contribuenti italiani, perché in Italia 1 su 3 dichiara meno di 10mila euro l'anno, con un imponibile medio di 4.707 euro. Se poi si guarda al Sud, la percentuale sale al 40%. La Puglia al 39,8%. Lo stima la Uil, che poi denuncia il paradosso più amaro: a parità di reddito, un lavoratore dipendente o un titolare di partita Iva start up intascherebbe una somma inferiore rispetto al percettore di reddito di cittadinanza, in quanto, con lo stesso importo, dovrà pagare le tasse.
Una di quantità e una di equità. Il sindacato guidato da Carmelo Barbagallo solleva, dunque, due questioni cruciali in prossimità della fase di avvio del nuovo strumento pensato dal Governo per contrastare la povertà e favorire l'inserimento lavorativo e le sottopone soprattutto all'attenzione del Governo, allegando la seguente proposta: «Innalzare al soglia della No tax area fino a 9.360 euro, in modo tale che chi guadagna lo stesso importo del Reddito di Cittadinanza abbia la stessa imposizione fiscale».
Il Servizio politiche territoriali ha elaborato un esempio per chiarire al meglio il concetto. In un pianerottolo di un condominio, in 3 appartamenti risiedono in affitto (300 euro al mese), 3 giovani di 27 anni. Il primo inquilino è disoccupato e beneficerà del reddito di cittadinanza e del contributo affitto pari a 9.360 euro; il secondo lavora part-time nella grande distribuzione con un reddito imponibile di 9.360 euro annui; il terzo ha aperto una partita Iva Start up con un reddito annuo imponibile di 9.360 euro. Con il conguaglio fiscale il lavoratore dipendente pagherà 529 euro tra Irpef nazionale (334 euro) e addizionali regionali e comunali (195 euro); mentre la partita Iva Start up pagherà 468 euro annui con la Flax Tax al 5%. «A conti fatti - spiega la segretaria confederale di Uil, Ivana Veronese -, il lavoratore dipendente avrà il 5,7% in meno di reddito disponibile rispetto al beneficiario del Rdc e la partita Iva il 5% in meno. È pur vero che il Reddito di Cittadinanza è uno strumento che deve coniugare contrasto alla povertà con l'inserimento lavorativo e, quindi il sussidio deve tenere insieme queste due esigenze ma d'altra parte con gli stessi redditi un lavoratore dipendente o autonomo vi paga le imposte. Non è il reddito di cittadinanza che farà aumentare i salari servono politiche di investimento per rilanciare l'economia oggi stagnante e la riduzione del lavoro e del fisco. Solo così si creeranno gli spazi per rivendicare aumenti reali dei salari», dice la sindacalista. Ci sarebbe poi anche la non meno preoccupante questione della equivalenza: «Il problema della scala di equivalenza utilizzata, che penalizza le famiglie numerose e con minori. Ad esempio: una famiglia di 5 componenti di cui 3 figli minori riceve solo il 40% in più di un beneficiario single; la stessa famiglia percepirà il 3,8% in meno rispetto ad una stessa famiglia ma con 3 figli maggiorenni; mentre una famiglia con 7 componenti, di cui 5 figli minori, percepirà solo il 4% in più di una famiglia di 5 componenti e con 3 figli minori», afferma Veronese.
Rispetto al Centro Nord, al Sud alloggerebbe quasi il doppio dei contribuenti in grado di poter ambire al reddito di cittadinanza. Dal 40% del Sud, la percentuale scende, infatti, al 28 nel Centro e al 24 al Nord: 12 dei 41 milioni di contribuenti italiani rientrerebbe, insomma, nei parametri del reddito di cittadinanza. Sono tutte persone che, pur lavorando, percepiscono redditi talmente bassi da non oltrepassare, se non di poco in alcuni casi, la soglia di povertà, frutto di contratti atipici o ammortizzatori sociali. In Calabria la percentuale più elevata: il 45,2% dei contribuenti dichiara un reddito fino a 10 mila euro. In Sicilia sono il 41,4%, in Molise il 40,3% e in Campania e Basilicata, come in Puglia, il 39,3 per cento.
Grazie, poi, alla graduatoria provinciale si può rilevare come a Crotone quasi 1 contribuente su 2 dichiari un reddito al di sotto dei 10 mila euro, a Vibo Valentia il 46,8%, ad Agrigento il 46,3%, a Cosenza il 46,1% e a Ragusa il 45,9%. In Puglia, la percentuale più elevata è a Foggia (43,9), segue Lecce con il 42,1%, sotto Brindisi (38,9) e Taranto (36,9). Nel Centro Nord, le province che presentano incidenza superiore alla media nazionale sono quelle di Latina (37,1%), Frosinone (34,1%), Viterbo (33,7), Imperia (32,2%), Ascoli Piceno (31,8%), Rimini (35,5%) e Grosseto (30,9%). Le performance migliori appartengono a Bologna (19,9%), Monza/Brianza (20,6%), Lodi e Lecco (20,8%) e Biella il 21,3 per cento.
«Abbiamo sostenuto in più frangenti spiega Franco Busto, segretario generale della Uil di Puglia che siamo assolutamente d'accordo con ogni misura volta a contrastare la povertà dilagante nonché a favorire l'inserimento lavorativo. Tuttavia, se da una parte il sussidio deve tenere insieme le due esigenze, è anche vero che con gli stessi redditi dichiarati si penalizzano vistosamente i lavoratori dipendenti e quelli autonomi, che invece pagano le imposte». Infine Busto, alla luce della platea potenziale di richiedenti, richiama le istituzioni a valutare i rischi «dovuti all'impatto della stessa su una macchina amministrativa falcidiata negli anni dai tagli verticali di personale e del turnover, che potrebbe fare grande fatica a rispettare tempistiche ed esigenze».
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