L'incontro con Pietro Mennea e Cassius Clay, le interviste a Domenico Modugno e Carmelo Bene: così Gianni Minà ha raccontato i pugliesi

L'incontro con Pietro Mennea e Cassius Clay, le interviste a Domenico Modugno e Carmelo Bene: così Gianni Minà ha raccontato i pugliesi
di Giuseppe ANDRIANI
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Mercoledì 29 Marzo 2023, 05:00

Eravamo io, Pietro Mennea e Muhammad Ali. Avrebbe potuto raccontarlo così, citando l’imitazione di Fiorello, Gianni Minà, quell’incontro a Los Angeles nel 1980, quando mise insieme il “ragazzo del Sud” e Cassius Clay. È morto lunedì sera l’uomo delle grandi interviste, testimone e cantore degli ultimi cinquant’anni. A modo suo, rigorosamente, ha avuto un rapporto importante con la Puglia. O meglio: con alcuni pugliesi. La sua abilità nel raccontare le imprese dello sport e gli uomini dello spettacolo ha incontrato Fidel Castro, Gabriel Garcia Marquez, Chavez, Lula, Maradona (che lo definì «l’unico giornalista amico»), Robert De Niro, Edoardo Vianello, Sergio Leone. Ma anche Pietro Mennea, intervistato in presa diretta a Città del Messico dopo il record del Mondo, Carmelo Bene, Domenico Modugno.

Con Pietro Mennea aveva un rapporto speciale. A casa sua, tra le agendine, conservava la pagina di diario sulla quale appuntò quel 19”72 che fece la storia. Era il 12 settembre del 1979, Minà era a Città del Messico come inviato. C’è una foto che lo ritrae abbracciato a Mennea. L’appellativo, “ragazzo del Sud”, glielo diede lui. E lo chiamava ancora così, “ragazzo del Sud senza pista”, quando nel 2010, oltre quarant’anni dopo, scriveva di lui sul magazine della Federazione Italiana d’Atletica. «Se devo dire adesso, nel momento in cui Pietro Mennea ha cinquantotto anni, quale è stata la dote tecnica e umana che ha caratterizzato la sua storia di campione olimpico e primatista mondiale nei 200 metri, credo di non sbagliare indicando la “rimonta” come costante delle sue caratteristiche atletiche e la “rivincita” come indiscutibile capacità a coltivare questo obiettivo nella vita, e di raggiungerlo», si legge su quei due giornali - ieri resi disponibili dalla Fidal - di soli tredici anni fa. Mennea c’era ancora. 

Il racconto di Mennea

E Minà raccontava la freccia del Sud andando oltre i numeri, i tempi. A modo suo, appunto. «La leggenda racconta - scriveva - che questo cocciuto figlio di un sarto e di una casalinga, ricco di tutta la testardaggine del sud e povero di tutti i privilegi del nord, a quindici anni si guadagnasse cinquecento lire, per pagarsi un cinema e un panino, smentendo su uno stradone periferico della sua città chi era convinto che su cinquanta metri non avrebbe potuto precedere una Porsche color aragosta e un’Alfa Romeo 1750 rossa, sulle cui accelerazioni scommettevano i più. E il suo modo di mordere la vita non è mai cambiato».
Era commosso quando a Radio Capital, il 21 marzo 2013, commentò la morte di Pietro, mito e amico. Lo definì «grande, grande, grande, grande, grande». «Uomo verticale». Nel 1980 era a Los Angeles quando chiamò Mennea e gli chiese se voleva andare con lui ad assistere a un incontro di Cassius Clay. Presentò l’un l’altro. A Muhammad Ali disse: «Lui è Mennea, l’uomo più veloce del mondo». La risposta del pugile fu memorabile: «Ma è bianco». E il ragazzo del Sud, per restare ragazzo del Sud fino in fondo, gli rispose: «Io sono nero dentro». Per Minà i due erano simili perché avevano dovuto lottare come pazzi contro il sistema. E lui ne sapeva qualcosa. 

Sono passati da lui tutti i più grandi, non solo i grandi eroi dello sport italiano.

Anche tanti uomini dello spettacolo. Spesso da Blitz. Nel novembre del 1982 toccò a Carmelo Bene. Il tema era il teatro, ovviamente. Anzi: «la musicalità nello spettacolo teatrale». Bene fece «uno splendido monologo», per citare Minà. Un quarto d’ora intenso. Il regista nato a Campi raccontò di aver deciso di fare l’attore per «ammirazione nei confronti di Gassman». «Andavo a Lecce, partendo dal mio paese, per vederlo», spiegò fumando. Quando Bene disse che a lui «piace la storia, che si imbroglia, che intriga», a Minà brillarono gli occhi. Probabilmente in quell’affermazione si sarà ritrovato chissà quante volte. 

Domenico Modugno a Blitz

Da Blitz era passato anche Domenico Modugno, annunciato come «mister Volare», ricordando la scelta della Nasa (per il sottofondo musicale) mentre il primo uomo allunava. Minà voleva raccontare «la storia di questo signore con due baffi da moschettiere, diventato un fattore di costume». Modugno imbracciò la chitarra, da uomo dello spettacolo fece spettacolo. Oggi si direbbe uno show. Scherza sulle sue canzoni in dialetto, spiega il perché tutta l’Italia fosse convinto della sua sicilianità. «Ma sono siciliano o pugliese? Ora non lo so neppure io». Ma cantava nel dialetto di San Pietro Vernotico, sia chiaro. 
Un viaggio lungo, quello di Gianni Minà. Ha lambito la Puglia. Ha apprezzato Caparezza quando, nel 2015, è andato a un suo concerto convinto dalle figlie e da un colleboratore. Ha anche scattato una foto alla fine dello spettacolo. “China Town” è la canzone su cui si chiude (mentre scorrono i titoli di coda) il docu-film diretto dalla moglie di Minà, Loredana Macchietti, “Una vita da giornalista”. L’anteprima nazionale, un anno fa, fu a Bari, al Bif&st. E nel 2019 al Festival del cinema di Bari c’era stato di persona. È anche questo un rapporto vero, quello con il Bif&st, nato negli ultimi anni. Amava il Sudamerica, dove aveva visto «la miseria nera», per usare le parole di Macchietti un anno fa durante l’anteprima del docu-film, e pensava che Cassius Clay avesse qualcosa in comune con Pietro Mennea. Sarà per questo che è stato così bravo nel raccontare gli uomini del Sud.
 

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