L'intervista/Gianni Cuperlo: «Più a sinistra con i fatti. E basta doppi incarichi»

L'intervista/Gianni Cuperlo: «Più a sinistra con i fatti. E basta doppi incarichi»
di Alessandra LUPO
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Mercoledì 25 Gennaio 2023, 05:20 - Ultimo aggiornamento: 15:29

Gianni Cuperlo, domani sbarcherà in Puglia nel suo tour per presentare la mozione che la vede candidato al congresso del partito. Partiamo dalle primarie, crede che bastino per coinvolgere la comunità democratica e far scordare i tanti errori commessi? 
«No, non bastano. La mia opinione è che dovrebbero essere riservate alla scelta del futuro candidato o candidata premier, a indicare un sindaco o una presidente di Regione, cariche istituzionali espressione di coalizioni, ma il o la segretaria del Pd vorrei che fosse di nuovo scelto dagli iscritti a questa nostra comunità. Quanto agli errori di questi anni per riscattare il progetto del Pd a noi serve quella discussione di verità che sinora è stata sempre rimandata».
Ci sono idee forti che dovrebbero orientare l’azione politica in questa fase di ridefinizione e che a suo avviso latitano?
«Penso che abbiamo due compiti. Opporci all’ideologia di questa destra che premia gli evasori e punisce la povertà e lo si fa attrezzando una alternativa credibile sul terreno concreto dei bisogni che oggi non trovano risposta, dal diritto a curarsi in un paese dove milioni di italiani a causa di tempi lunghissimi di attesa sono in balia di una sostanziale privatizzazione delle prestazioni sanitarie alla battaglia per non disunire il paese con una autonomia differenziata che ci deve vedere mobilitati per impedirlo. L’altro compito è dotare di nuovo la sinistra di un pensiero sul mondo, sulle trasformazioni e i conflitti che lo investono, dalla guerra nel cuore dell’Europa a quella emergenza climatica che scuote la coscienza dei più giovani»
Damilano dice che il Pd è rimasto l’ultimo partito politico ma che non riesce più a parlare di politica e a organizzare al suo interno un prolifico conflitto. È d’accordo?
<«In parte sì ed è la ragione che mi ha spinto a fare un passo avanti e a partecipare in prima persona con una proposta sul Pd del dopo. Penso che questo sia il congresso più importante da quando il Pd è nato e ridurlo a una ennesima conta su nomi e volti sarebbe una colpa grave. La prima fase del congresso è quella dove a discutere e votare saranno gli iscritti e deve essere il momento della libertà di ciascuno. Io ci sono perché credo nel rilancio di questa forza e nella possibilità di restituire a milioni di persone deluse la speranza di una sinistra capace di coinvolgerle in una sfida di emancipazione dal bisogno, nel lavoro, nel diritto a una scuola di qualità, nella certezza di salari degni». 
Il partito vuole ridefinire la sua identità dopo gli sfilacciamenti e le deformazioni nelle esperienze di governo, al suo interno lei rappresenta le istanze della sinistra. È uno schema troppo semplice?
«Non credo che il problema di ora sia spostare il Pd un po’ più al centro o a sinistra. La prova è ricollocare i nostri principi in una società segnata da ingiustizie sociali profonde. Quasi sei milioni di italiani sotto la soglia di povertà sono una vera emergenza e un insulto al grado di civiltà di un paese come il nostro. Questa è la priorità e dobbiamo affrontarla con proposte sul merito, dalla riforma del reddito di cittadinanza a un piano per l’occupazione femminile, ma anche rifondando il nostro modo di organizzare la presenza sul territorio a fianco, fisicamente, alla parte che è rimasta in fondo alla fila e che alla sinistra chiede per prima cosa di essere vista». 
Il ritorno di Articolo Uno può aiutare a ridefinire questa forma?
«Ogni nuovo ingresso è prezioso perché una forza chiusa su sé stessa è destinata a riprodurre gli errori». 
Forma partito. Dai circoli sempre più indeboliti ad altre realtà che nel tempo hanno reso forse troppo fluida e virtuale la partecipazione, su cosa occorre puntare per rivitalizzare questa forma? Lei guarda con interesse al sindacato...
«Il sindacato ha una funzione essenziale e pensare di scavalcarne il ruolo è stato un limite. Penso a una legge sulla rappresentanza per disboscare la giungla di contratti scritti per aggirare regole e tutele. Noi siamo un partito e senza dare voce e potere ai nostri iscritti la deriva è di un ceto politico che si occupa del proprio destino più che di quello degli altri. La proposta di una rete di Comitati per l’alternativa alla destra nasce dall’esigenza di allargare il campo e coinvolgere i tanti che hanno continuato a pensare e avanzare idee per una società meno diseguale».
Nonostante tutti i candidati professino l’unità quanto teme ulteriori nuove scissioni o perdite del ceto politico (e di consenso)?
«Non temo nuove scissioni, temo l’irrilevanza se non saremo in grado di reagire con un sentimento di riscatto che restituisca a questa comunità non solo un programma ma una credibilità e reputazione». 
In Puglia esiste un’anomalia politica legata al governo regionale di Emiliano, che ha assorbito molti pezzi di centrodestra. Lei stesso venne a Nardò a ribadire che alleanze troppo spregiudicate non potevano essere le linee guida del partito. Ha rivisto questa idea?
«Oggi la confermerei più di ieri perché il Pd se vuole risalire nella fiducia di tanti elettori delusi deve riaffermare una coerenza tra le parole e le azioni. Io credo in un nuovo centrosinistra, aperto, civico, inclusivo di tante esperienze che finora non abbiamo saputo coinvolgere. Percorrere l’altra strada, fondare patti o reclutare di volta in volta pezzi della destra oltre che un errore è il modo per pregiudicare la nostra identità».
Qui il centrosinistra governa al fianco del M5s e ha estromesso Azione dalla maggioranza. Che ne pensa?
«Non tocca a me entrare nelle dinamiche di una realtà che dall’esterno devo solo rispettare. Vedo che nazionalmente sia Calenda che Conte pensano di poter raccogliere i frutti delle nostre difficoltà e questo li porta spesso a scambiare il Pd per l’avversario da battere, ma oggi l’avversario è la destra e dovremmo trovare le ragioni per una azione unitaria».
Lei ha sempre puntato sull’antileaderismo, il segretario lei dice deve fare il segrerario
«Si tratta di rispetto per la responsabilità che si assume verso questa comunità. Sono veramente convinto che si debba fare un mestiere per volta e che oggi al Pd serva come non mai una persona che si dedichi a costruire il nuovo partito senza altri traguardi per sé».
Migranti, femminismo. La sua si può definire una mozione “radicale”? 
«Se radicale è sinonimo di umanità dico di sì. Lasciare corpi stremati in balia delle onde per giorni è una crimine e dobbiamo agire per impedirlo. Quanto al pensiero femminista è stata la più profonda rivoluzione alla costituzione materiale di questo come di molti altri paesi». 
Il suo giro parte da Borgo Mezzanone, nel Foggiano, dove nelle scorse ore c’è stato un nuovo incidente. Il tema dell’integrazione deve essere più centrale nel partito? 
«Quella tragedia è solo l’ultima in ordine di tempo. Adesso si tratta di passare ai fatti. Per svuotare i ghetti ci sono nei fondi Pnrr 110 milioni circa per la Puglia. 54 per Manfredonia, il territorio di Borgo Mezzanone. Si tratta di migliaia di poveri, molto giovani, usciti da un sistema di accoglienza che non li trattiene. Non tutti fanno i braccianti. Molti vivono senza alcuna prospettiva, senza igiene, senza sanità. È necessario investire subito questi fondi per tutti, anche per i non regolari, per uscire da questa quotidiana conta dei morti. Un’emergenza umanitaria è diffusa nei ghetti del Sud. E non basta sgomberare, perché dopo ogni sgombero il crimine dei caporali interviene sui loro bisogni assoggettandoli. Dobbiamo far entrare queste persone nei centri abitati, dare loro un documento di soggiorno, un numero civico, una tessera sanitaria».
Quando tornerà in Puglia, il 2 febbraio, andrà anche all’Ex Ilva di Taranto, dove nei giorni scorsi sono apparse anche delle svastiche sul volto di voi politici dem. Come s può far capire alla gente che è possibile superare il conflitto tra salute, ambiente e lavoro?
«Sfruttando l’intera potenzialità della ricerca a sostegno di una produzione pulita e sostenibile in termini economici, ambientali e sociali. È una sfida enorme da affrontare ora perché di lavoro si può e si deve vivere, non morire».
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