Un vertice “corale” con la Conferenza delle Regioni per ricucire e chiarire, tanto per cominciare. Successivamente, incontri con i singoli governatori per entrare nel merito di progetti e livelli di spesa e preparare il terreno verso l’agognata suddivisione tra le Regioni del Fondo sviluppo e coesione 2021-27, partita per la Puglia da oltre 4 miliardi di euro. Poi, archiviati i prossimi e più urgenti step sul Pnrr (a partire dalla terza rata da 19 miliardi: ci siamo), il faro sarà concentrato anche sul Sud: non un piano ad hoc in senso stretto, ma risposte strutturali alle singole aree tematiche da declinare in chiave Mezzogiorno. Raffaele Fitto è alle prese con mille spine, e tra queste c’è il confronto – non esattamente sereno, al momento – con le Regioni.
Materia del contendere è il Fondo sviluppo e coesione, quasi 27 miliardi di risorse nazionali in attesa di destinazione, e sulle quali nutrono legittime aspirazioni i governatori, dopo che il governo Draghi aveva spartito la torta, ma non ancora materialmente assegnato i fondi per il tramite del Cipess. Il ministro degli Affari europei, del Pnrr e della Coesione (in una parola: il titolare della cassaforte di Palazzo Chigi) prende però tempo perché non vuol deragliare dal binario imboccato, anche qui legittimamente: ricognizione puntuale di tutte le risorse a disposizione, valutazione dei progetti e del loro stato d’attuazione, programmazione coordinata dal centro della massa complessiva di fondi e un sistema di vasi comunicanti. Del tipo: Pnrr e Fsc – per stare sull’esempio più urgente – dovranno dialogare, innanzitutto per evitare sovrapposizioni strategiche e rispondere a una visione unitaria, ma anche per consentire al Piano di ripresa e resilienza di aggirare le scadenze-tagliola dell’Ue dirottando magari una quota di interventi sul più elastico Fsc. Il timore delle Regioni, soprattutto del Sud al quale spetta l’80% del Fondo sviluppo e coesione, è intuibile: il Fsc finirà in un indistinto calderone e dunque addio risorse “pro quota”. Tra i governatori più agguerriti e in trincea c’è Michele Emiliano: ha chiesto ripetutamente la fetta pugliese del Fsc, e lo ha ribadito anche sabato. Quei 4 miliardi per la Puglia sarebbero cruciali per due ragioni, ricordate spesso dal governatore: per il «cofinanziamento dei fondi europei» e per dare risposte, agevolazioni e contratti di programma alle imprese che intendono investire in Puglia (il nuovo Por 2021-27, il Programma operativo regionale alimentato dai fondi europei, non potrà erogare sostegni diretti agli investitori). Proprio però le due leve evocate da Emiliano e appena ricordate sono i fattori di criticità sui quali Fitto e la sua tecnostruttura si stanno concentrando: da una parte contestano la prassi di drenare il Fsc per cofinanziare i fondi europei; dall’altra il ministro vuol capire con un monitoraggio puntuale in che modo vengono realmente utilizzate le risorse. Il principio da salvare, insomma, sarebbe il seguente: prima i progetti e le linee d’investimento nero su bianco, poi sarà sbloccata la quota regionale del Fsc. In ogni caso - garantiscono da ministero e Dipartimento - sempre «tutelando i vincoli di finalità e territorialità», cioè prima di tutto il criterio dell’80% al Mezzogiorno.
Le prospettive
Cosa accadrà adesso? Circa 15 giorni fa Massimiliano Fedriga, presidente friulano (e di centrodestra) della Conferenza delle Regioni, aveva scritto a Fitto per chiedere un incontro ritenendo «urgente il riparto del Fsc».