"Proconsole" in Ue o ministro, tra von der Leyen e Meloni: Fitto e il riscatto come regola

"Proconsole" in Ue o ministro, tra von der Leyen e Meloni: Fitto e il riscatto come regola
di Francesco G. GIOFFREDI
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Martedì 27 Settembre 2022, 09:47 - Ultimo aggiornamento: 22 Ottobre, 21:01

Inabissarsi e poi risalire, un passo alla volta. Perché la politica quella vera, che un tempo s'insegnava nelle sezioni di partito è così, e spesso è un movimento circolare. Un battere e levare e ancora battere che accetta le metamorfosi, le sconfitte e i riscatti. Nell'almanacco dei vincitori di queste elezioni c'è anche Raffaele Fitto, l'uomo che visse più volte: ora è lì, a un passo dalla stanza dei bottoni e dalla plancia di comando di Giorgia Meloni, e perciò del Paese. Nel 2018 sposò il progetto di Fratelli d'Italia, all'epoca un azzardo piantato al 3% o giù di lì, tra molti «che ci fa lì?». Adesso l'eurodeputato è nel pool al quale la premier in pectore dovrebbe affidarsi per governare il Paese. Ministro, per esempio. Oppure proconsole a Bruxelles, che è campo di gioco strategico per qualsiasi cancelleria europea e lo è di più per un governo finito sotto il faro prima ancora d'insediarsi.

In Parlamento dopo 8 anni

Candidato capolista alla Camera nel collegio salentino, Fitto torna in Parlamento dopo oltre otto anni densi e intensi come se fossero stati trenta: lo strappo con Forza Italia post elezione in Europarlamento, gli sfortunati partiti centristi mignon, l'oblio, la scommessa FdI, entrando nel partito e restandoci sempre con un certo scarto di autonomia, gli anni in apnea, la rielezione a Bruxelles, la battuta d'arresto delle Regionali urtando contro il muro Emiliano, il gong di fine corsa suonato da molti, la trasversale rete europea imbastita con democristiana pazienza, silenzi e cocciutaggine, stimato anche tra Popolari e Socialisti europei, offrendo alla neo-destra di Meloni il tetto nobile dei Conservatori e Riformisti (dei quali è co-presidente) e coltivando relazioni continue, fruttuose, per nulla scontate con i vertici delle istituzioni comunitarie, a cominciare dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen.

Negli ultimi anni Fitto è stato l'ufficiale di collegamento a Bruxelles per Giorgia Meloni, una specie di garante e passepartout nei diffidenti corridoi dell'Ue, l'uomo dei fondi comunitari, l'europeista in un centrodestra spesso sovranista e il moderato nella foresta massimalista della destra. A passi felpati è entrato nell'inner circle dei consiglieri di «Giorgia», che normalmente poco si fida e poco ascolta, ma se c'è di mezzo l'Ue allora è opportuna la chiacchierata con Raffaele da Maglie, abile a stemperare, mediare e limare eccessi pericolosi, in Ue e pure in Italia.

«Giorgia e Raffaele» come uno strano mix che però funziona, quasi compensandosi. L'ultima telefonata Meloni-Fitto è di pochi giorni fa: von der Leyen, parlando pubblicamente di elezioni italiane, ha di fatto affondato il colpo sul centrodestra meloniano («Se le cose vanno in una direzione difficile - ho parlato del caso di Polonia e Ungheria - abbiamo gli strumenti»), la reazione della leader FdI è stata insospettabilmente soft. Su suggerimento proprio di Fitto: meglio non inasprire gli animi, perché da domani bisognerà lavorare di sponda con l'Ue per maneggiare i tanti e scottanti dossier «da far tremare i polsi» (parole della stessa Meloni).

Cosa sceglierà Meloni per Fitto?


Ecco, il futuro ora è un classico della politica: un po' trattativa e un po' partita a dadi. Insomma: cosa farà Fitto? «Sceglierà Giorgia», è il mantra dei fedelissimi dell'eurodeputato salentino. Ministro per il Sud e la Coesione territoriale, per esempio: e sarebbe un ritorno, perché le redini di quel dicastero Fitto le ha tenute quando Silvio Berlusconi era premier. Oppure potrebbe rimanere in Europarlamento, per ora da co-presidente dei Conservatori e riformisti e da prezioso ambasciatore a Bruxelles, e poi, chissà, si vedrà quali opportunità offriranno gli equilibri Ue.
In ogni caso: è l'eterno riscatto di chi è stato battezzato in ogni modo, «Fitto il grigio», «Raffaele il vecchio», come se fosse un arnese da politica retrò e troppo protocollare, «fa ragionamenti complicati che non gli portano bene» (questa è di Emiliano). Di sicuro adesso sbarca ancora in Parlamento a modo suo: l'ossessione un po' secchiona per la concretezza, la passione per le reti di consenso e per la mistica dei voti sul territorio mai abbandonato, la campagna elettorale comitato per comitato, presidiando tutto il collegio e stringendo mani, cucendo i messaggi e i programmi sulle specificità pugliesi e sferrando attacchi al governo regionale, molto meno impulsivo e testardo di un tempo e un po' meno one man band del passato, scoprendo i social come risorsa. I fittiani doc fanno già notare l'ultima medaglietta che l'ex ministro s'è messo sul petto: nel collegio plurinominale salentino della Camera, dov'era candidato, FdI è primo partito, una rarità nella Puglia del M5s quasi al 30%. E una piccola vendetta anche su Emiliano, perché in corsa nel Salento c'erano i colonnelli civici del governatore. E a modo suo Fitto ha pure festeggiato l'esito elettorale: poche parole misurate, cadenzate con l'eloquio asciutto di sempre e i piedi piantati per terra. Anche a costo di dimenticare sogni e guizzi: «Sarà un governo serio e responsabile», e insomma non aspettatevi l'immaginazione al potere o chissà quali altre promesse. Poi, il silenzio in attesa di studiare il campo, aspettando quello che «Giorgia sceglierà». Ministro o Ue, va bene lo stesso. Senza bramare nulla, nemmeno la candidatura, o quantomeno senza dare l'idea di scalpitare.

La sfida del futuro è però anche politica. FdI è partito che dovrà cambiare giocoforza pelle, abbracciando in toto la variante governativa e una visione meno barricadera. E Fitto scommette silenziosamente proprio su questo: una casa inclusiva, com'era il Pdl dei tempi d'oro, che ospiti destra moderna e moderati, europeista seppur con doverose chiavi critiche. Intanto l'ex ministro si muove in punta di piedi, senza le spigolosità del passato, in un partito nel quale la convivenza con gli eredi di An non è stata sempre semplicissima. Torneranno forse i tempi - è fisiologico, in politica - delle fibrillazioni interne, un classico del passato, quando Fitto incrociava le lame con tutti, persino col Berlusconi plenipotenziario. Ma non ora. Anche perché «Giorgia deve scegliere». E se sarà ministero della Coesione, attenti all'incrocio pirotecnico: Fitto ed Emiliano allo stesso tavolo a discutere di fondi europei, proprio come accadde tra il 2008 e il 2011 con Nichi Vendola. Un movimento circolare, un eterno ritorno animato da riscatti e metamorfosi, perché la politica è fatta così.

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