«Questo è il popolo che dovrà, assieme al Partito democratico e al M5S, vincere le elezioni ed evitare che il Paese cada nelle mani sbagliate. Non siamo mai riusciti a vincere le Politiche e speriamo di riuscirsi questa volta grazie a questa grande alleanza». Michele Emiliano non ci gira intorno, riunisce i suoi e lancia la scalata alle urne del 2023, «o forse prima», mette in conto. Il Governatore benedice quella che ha sempre definito la coalizione della Puglia. E dell'Italia, dal momento che auspica convention simili in tutte le regioni. Per ora, è una federazione ma ambisce ad uno spazio nazionale come soggetto strutturato «se la maturità politica di Pd e Cinque Stelle ci chiederà uno sforzo». Nessuno scavalcamento, nessuno strappo ma la volontà di «stabilizzare» e «rendere permanente» un assetto per farsi trovare pronti.
In prima fila Boccia e Lacarra
Non a caso, in prima fila ci sono big dem come l'ex ministro Francesco Boccia che apre le porte delle Agorà di Enrico Letta - e Marco Lacarra, segretario uscente del partito regionale, disarcionato dal ricorso che ha azzerato il Congresso. E poi Rinaldo Melucci - senza più la fascia tricolore di sindaco di Taranto - i Popolari di Gianni Stea e Salvatore Ruggeri ma anche quelli di Massimo Cassano e gli assessori Sebastiano Leo e Alessandro Delli Noci. Ai piani alti nell'hotel del capoluogo, già quartier generale del capo della Giunta, sfilano volti vecchi e nuovi di via Gentile. E pure di via Capruzzi: da Cecchino Damone, storico consigliere sotto le insegne fittiane della Puglia Prima di Tutto, a Fabrizio D'Addario, coordinatore metropolitano di Con - nelle scorse ore dato persino come papabile successore di Pier Luigi Lopalco alla Salute ma non c'è alcuna promozione all'orizzonte passando per l'andriese Sabino Zinni e il tarantino Piero Bitetti, solo a citarne alcuni. Solo un pezzo della geografia che si va delineando: «Siete custodi ed eredi del lavoro fatto finora dalla Puglia. Un'alleanza basata sulla generosità, sulla condivisione dei programmi e dei valori della Costituzione repubblicana, e in generale di tutta la storia del centrosinistra italiano.
Io trasformista? Resto sempre lo stesso
«Trasformista? Non sono mai cambiato di un millimetro, sono sempre lo stesso», scherza l'ex sindaco di Bari. In platea, come annunciato alla vigilia, non c'è Alfonso Pisicchio ex assessore all'Urbanistica e non ci sono neppure i Verdi ma si mettono in ascolto i socialisti del Psi. Nessuno stravolgimento imminente degli equilibri, tanto più nelle ore dello slittamento della seduta della massima assise dedicata al piano rifiuti, per effetto della sentenza del Tar sul riconteggio e sulla composizione definitiva del parlamentino. La marcia ha i tempi lunghi delle variabili nella Capitale, dell'elezione del Capo dello Stato e dei giri di valzer che verranno sui collegi. Con l'incognita della legge elettorale, s'intende, che cambierebbe l'intero quadro in caso di proporzionale ma chissà. Intanto, si serrano i ranghi, convinti della necessità di «un grande partito alle spalle» ma anche che «senza la gente, quel partito rischierebbe di non esistere neppure». «Noi ci siamo», scandisce a più riprese. Vale per Enrico Letta e Giuseppe Conte ma non solo per loro. D'altro canto, il primo paletto lo ha posto Francesco Boccia prima ancora di entrare: «Chi non costruisce con noi, significa che ha scelto la destra nazionalista che è quella dei no vax e dei no green pass. Chi non sta qui, sta con Salvini e Meloni».
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