Il presidente Emiliano: «I governatori del Nord vogliono solo più soldi, faremo fronte comune»

Il presidente Emiliano: «I governatori del Nord vogliono solo più soldi, faremo fronte comune»
di Paola ANCORA
7 Minuti di Lettura
Domenica 12 Giugno 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 20:37

Presidente Michele Emiliano, partiamo da una analisi di realtà. Già oggi un bambino dell’Emilia Romagna “vale” quanto sei bambini pugliesi: ogni anno, in media, il riparto della spesa dello Stato consente alla Regione Emilia Romagna e alla Regione Puglia di investire rispettivamente 1.724 euro per ciascun bimbo emiliano e 284 euro per ciascun bimbo pugliese (dati Istat). Cosa ne pensa?
«Il sistema sanitario italiano danneggia i meridionali perché è fondato sulla spesa storica. Al Nord, dove da sempre hanno avuto più soldi, avranno in base a questo criterio sempre e comunque più soldi che al Sud. A parità di abitanti con la Puglia, l’Emilia-Romagna ha il doppio degli ospedali, una rete territoriale e di residenze sanitarie più che doppia, 40mila dipendenti in più e 280 milioni di euro all’anno in più di finanziamento dal fondo sanitario nazionale. È come giocare 7 contro 11. Ogni volta che la Puglia e la Campania provano ad andare all’attacco, il Nord ci sbatte la porta in faccia».

La bozza di legge quadro delineata dalla ministra Gelmini per qualcuno disegna una “secessione dei ricchi”. Il suo omologo veneto, Luca Zaia, ha chiarito che così non è, specificando però che in questo modo verrà a galla la mala gestio di una certa classe dirigente. Si è sentito offeso?
«Se passiamo dal criterio della spesa storica alla spesa secondo i bisogni di ciascuno va bene anche l’autonomia rafforzata richiesta dalle regioni del Nord. Ma se così fosse, non credo che gli interesserebbe più questa innovazione. Vogliono più soldi e basta. Perché pensano che siccome sono più ricchi devono avere servizi migliori. Questa testa non cambia. Noi chiediamo di applicare il principio di uguaglianza nelle cose essenziali, stessi soldi, stesse strutture, stesso personale in modo da non aggravare il differenziale di sviluppo tra Nord e Sud e, se possibile, recuperare terreno. Se si passa al trasferimento di risorse secondo i Lep (Livelli Essenziali delle Prestazioni) secondo la bozza del ministro Boccia, tutto si potrebbe fare. Ma se rinviano a un secondo momento la definizione dei Lep, questo rende inaccettabile l’autonomia differenziata e chiarisce che si tratta di un piano appropriativo di ulteriori risorse a danno del Sud». 
Ritiene che l’accelerata annunciata dalla ministra di Forza Italia sia più frutto di un posizionamento strategico in vista delle Politiche che di una reale intenzione di portare il Ddl in approvazione entro fine legislatura? 
«Sinora ho lavorato molto bene con la ministra Gelmini e penso stia cercando fortemente una mediazione, che temo però sia difficile da raggiungere. Sullo sfondo c’è anche la campagna elettorale che al Nord per Lega e Forza Italia è più difficile del solito, vogliono mettere in difficoltà Fratelli d’Italia della Meloni che sarebbe in grave imbarazzo a sostenere un provvedimento nell’interesse solo del Nord».
Abbiamo citato il caso degli asili e delle politiche per l’infanzia, ma non va meglio su sanità e trasporti, alcune delle principali competenze che le Regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto potranno gestire in autonomia, se la bozza di legge quadro della ministra Gelmini passasse così com’è. Il divario esistente in queste specifiche materie fra la Puglia e la Lombardia o la Puglia e il Veneto quanto è responsabilità del Governo centrale, che non ha saputo promuovere politiche di coesione, e quanto, presidente, ritiene sia una responsabilità della classe dirigente locale?
«La questione meridionale è ancora aperta proprio perché si radica intorno a diversi fattori storici.

Di sicuro se non si supera in partenza il criterio della ripartizione squilibrata di risorse tra Nord e Sud sarà impossibile, anche per regioni virtuose come la Puglia, ridurre il divario. Se guardo indietro alle politiche di medio e lungo periodo direi che solo il Governo Prodi della fine degli anni ‘90 ha realizzato politiche che hanno ridotto concretamente il gap tra regioni settentrionali e meridionali. Tutti gli altri non hanno lasciato un segno».

La presidente del Consiglio Loredana Capone e poi il segretario regionale di Forza Italia Mauro D’Attis hanno già annunciato l’intenzione di attivare iniziative di protesta, a più livelli, per impedire che quel Ddl arrivi in Aula così com’è. La avranno al loro fianco? Quali iniziative intende assumere lei? Il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, ha già annunciato battaglia. 
«Uno dei grandi limiti a Sud è stato sempre quello di non riuscire a far fronte comune sulle grandi battaglie. Abbiamo avuto difficoltà a essere uniti anche nel far valere sacrosanti principi di effettiva parità rispetto al Nord. Una capacità di fare squadra che invece i settentrionali hanno saputo praticare al meglio, anche in maniera molto trasversale tra i partiti, riuscendo sempre ad avere una grandissima voce in capitolo sui tavoli romani. Ben venga quindi un dialogo comune tra le parti, non solo a livello regionale, ma di Mezzogiorno: fare sintesi tra di noi e parlare a Roma con un’unica voce sarebbe sicuramente una novità importante nella dialettica istituzionale». 
Può essere questa, secondo lei, l’occasione per riuscire a disegnare un nuovo assetto federalista dello Stato, improntato alla vera solidarietà, ma offrendo alle Regioni del Sud l’occasione per migliorarsi e smarcarsi dallo stigma dell’essere culla degli sprechi del Paese?
«La premessa per ridisegnare uno Stato federalista e solidale è che si incida immediatamente sui livelli essenziali delle prestazioni. Fino a quando infatti alcune prestazioni fondamentali saranno enormemente difformi tra Nord e Sud del Paese, non potrà esserci alcun federalismo perché mancherà la solidarietà alla base. Basti pensare ad alcune prestazioni tipiche del welfare come il diritto all’orario continuato a scuola o l’asilo gratuito per tutti i bambini: è chiaro che non basterà nemmeno, come sta facendo in parte il Pnrr, immaginare di introdurre le infrastrutture necessarie per azzerare questo gap, come ad esempio gli asili. Occorrerà incidere sulla spesa corrente e non quindi solo sugli investimenti, in modo che il numero di risorse umane a disposizione delle amministrazioni del Mezzogiorno per fornire quei servizi sia adeguato. Oggi la sperequazione Nord-Sud è un dato certo, straordinariamente alto, ed è soprattutto incomprensibile se consideriamo che la spesa corrente in investimenti nel Paese viene sostenuta dalla fiscalità e, sebbene la fiscalità riguardi tutto il territorio nazionale, al momento i vantaggi sono andati essenzialmente alle regioni del Nord».
E se a chiedere l’autonomia differenziata fosse anche la Puglia? Lei in passato ha aperto a questa possibilità. Fantascienza politica?
«L’autonomia rafforzata potrebbe essere concessa a tutte le regioni assieme a nuove regole per diminuire il divario Nord-Sud. Questa è una sfida che potrebbe superare la Questione meridionale, ma non ci sono le condizioni per riuscire in questa impresa nello scorcio di questa legislatura. Dovrebbe essere la sfida anche elettorale da realizzare con la prossima maggioranza. In questa fase storica sarebbe a mio avviso una risposta adeguata alla lunga stagione di neocentralismo che ha caratterizzato l’attività politica del Paese degli ultimi anni. L’idea che centralizzando l’amministrazione e la spesa si possano ottenere dei risultati migliori è un dogma che si è scontrato poi con la realtà dei fatti». 
Cosa intende?
«Quando si parla di inefficienza delle regioni meridionali nella spesa, stranamente non si vanno a guardare i dati di spesa dei ministeri che sono a volte persino peggiori delle peggiori casistiche. Quindi l’autonomia rafforzata passa per prima cosa attraverso una presa di coscienza che la prossimità territoriale è un valore; secondo, che ci debba essere un rafforzamento delle strutture amministrative, soprattutto sotto il profilo del personale, perché è difficile che si possa recuperare efficienza senza risorse umane in grado di incidere sulle dinamiche di spesa e progettazione; il terzo requisito è rappresentato dalla necessità che le regioni più virtuose, tra le quali al Sud c’è la Puglia, possano entrare in dinamiche solidaristiche e sostenere attraverso la loro esperienza positiva le regioni che invece ancora non hanno dimostrato una capacità di spesa ottimale. Il nostro Paese più che dalla capacità di spesa, da trent’anni in qua, è affetto da una cronica mancanza di progettazione, visione e programmazione, ed è chiaro che in assenza di questi elementi spendere risulta impossibile».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA