I giovani tornano a emigrare come negli anni '60. L'allarme dell'Istat: «Così il Mezzogiorno diventerà una terra per anziani»

I giovani tornano a emigrare come negli anni '60. L'allarme dell'Istat: «Così il Mezzogiorno diventerà una terra per anziani»
di Giuseppe ANDRIANI
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Venerdì 27 Gennaio 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 18:58

Non avranno la valigia di cartone, come accadeva nell’Italia del boom economico. Ma vanno via. Una canzone popolare in radio in questi giorni ricorda che «i cervelli scappano in Alitalia, ma le braccia in Ryanair». L’aspetto più drammatico, però, è che partono entrambi. E ci si ritrova a essere più poveri, non soltanto perché il Prodotto Interno Lordo del Sud è inferiore a quello del Nord (e la crescita non ha per nulla bilanciato il divario), ma anche perché il Mezzogiorno, così, perde i propri giovani, le menti, le braccia. L’analisi è dell’ultimo rapporto Istat sulle criticità del Sud. In Puglia il tasso di emigrazione nella fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni è pari a 14,88 persone ogni 1.000 abitanti. Il dato è calcolato facendo il bilancio tra le cancellazioni e le nuove iscrizioni ai vari registri anagrafe dei Comuni delle persone nella fascia 25-34. Un numero peggiore rispetto alla Puglia solo in Calabria, Basilicata, Molise e Sicilia. Alcune regioni del Nord, come la Lombardia, ad esempio fanno registrare un segno più: +4,88/1.000 di residenti dal 2019 al 2020. Ma il dato che fa paura per davvero è un altro: in quindici anni il tasso di emigrazione è cresciuto a dismisura. In Puglia, ad esempio, nel 2005 si attestava attorno all’8 su 1.000. Da allora a oggi, ci sono mille ragazzi in più che ogni anno decidono di trasferirsi altrove. E andando a guardare le pieghe dello studio si scopre che le province con il maggior tasso di migrazione sono Foggia (-19 residenti ogni mille) e Taranto (-17, dieci punti in più rispetto al 2005), ma anche Lecce (-15) e Brindisi (-16) non sono messe bene. E Bari si salva solo parzialmente, attestandosi su un -11%, mentre la Bat è sul -14 ma nel 2005 non c’era. 

Sono cambiate le rotte

Dal Sud si va al Nord o sempre più spesso in Europa. Sono cambiate le rotte rispetto al dopoguerra, ma non il concetto: se non c’è lavoro e se mancano i servizi (particolarmente attenzionata da Istat la questione dei nidi, ad esempio) si decide di andare a vivere altrove. Nel 2020, nonostante il covid e un anno molto particolare per gli aspetti già noti, sono andati via 6.547 ragazzi tra i 25 e i 34 anni. Di fatto, è un paese. Un paese fatto interamente di giovani, di ragazzi che fanno già parte della classe dirigente, o che rappresentano forza lavoro. E colpisce come il numero di chi sposta la residenza altrove non tiene conto, vista l’età, degli studenti universitari. E qui si apre un altro processo che ha conosciuto soltanto in parte, post-pandemia, un’inversione di rotta: si va via anche per studiare. 
Mancano le opportunità, o una volta che ci si è trasferiti altrove si ha voglia di stabilirsi, costruire una famiglia, magari comprare casa.

Il risultato, però, è il Mezzogiorno che si spopola. Vittima di un inverno demografico che è sì legato alla riduzione delle nascite, ma anche all’emigrazione, che continua a ricoprire un ruolo tristemente fondamentale nel Sud che perde pezzi. 

I motivi: occupazione e quadro economico

L’analisi di Istat parte proprio dalla ripresa delle migrazioni, dopo un periodo di stop, almeno parziale. «Lo scenario occupazionale spiega la significativa ripresa dell’emigrazione dal Mezzogiorno, fenomeno che, com’è noto, ne ha accompagnato la storia fin dall’Unità d’Italia. Nelle due grandi ondate migratorie - ossia in quella prevalentemente transoceanica a cavallo del Novecento e in quella più composita del secondo dopoguerra, quando le nuove destinazioni europee si sommano ai flussi interni diretti verso il “triangolo industriale” – si generò un “esodo gigantesco” di poco meno di 10 milioni di meridionali. Tali flussi si sono ridotti dai primi anni Settanta alla metà degli anni Novanta del secolo scorso, in virtù di un certo miglioramento del quadro macro-economico specifico». Ed è cambiato, scrive Istat, anche la modalità delle migrazioni: «Più di recente, i trasferimenti fra ripartizioni ricominciano a crescere di intensità: nel decennio 1995-2005 il tasso migratorio passa da 390 per mille a 552 per mille (+41,5%) e la propensione a migrare si sposta anagraficamente in avanti (da 20-25 anni a 25-30 e più)».

Si parte un po’ più tardi, a meno che non si decida di studiare in un grande ateneo del Nord. Ma perché? I servizi che mancano sono una chiave di lettura ma sono evidenti anche i problemi legati all’occupazione giovanile, ricordati da Istat. Il rischio, secondo l’Istituto di Statistica - che ha scritto un report per mettere in chiaro alcuni numeri fondamentali per l’attuazione del Pnrr - è che così il Mezzogiorno diventi una terra sempre più anziana. 
«Si prevede - prosegue lo stadio - che intorno al 2035 l’età media della popolazione di Sud e Isole supererà quella del Centro-Nord, solo fino a pochi anni fa nettamente inferiore. Si avrebbe un effetto negativo sulla capacità di creare reddito (data la contrazione di forza lavoro), un aumento dei bisogni di cura degli anziani, una contestuale riduzione della domanda di altri servizi pubblici e privati per la componente giovanile (educativi, ludico-ricreativi) e una tendenziale caduta del gettito fiscale, necessario per finanziare il welfare locale». In Ryanair o in Alitalia, scappano cervelli e braccia. E non tornano.
 

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